Lo scandalo Consip: meno Stato negli appalti

Tanti piccoli governi che gestiscono modeste risorse (poche tasse e spese di entità limitate) offrono meno occasioni di corruzione ai politici disonesti e ai loro complici

8 Agosto 2017

La Provincia

Carlo Lottieri

Direttore del dipartimento di Teoria politica

Argomenti / Teoria e scienze sociali

Nel corso di questi anni la retorica politica prevalente ha spesso evocato un reale o preteso “fallimento del federalismo”. Ogni scandalo a livello regionale e comunale è stato utilizzato per rigettare qualsiasi ipotesi riformatrice volta a spostare le decisioni dal centro della periferia. Un dato di fatto incontestabile (e cioè che esiste un malaffare politico che unisce il potere romano alle sue diramazioni locali) è stato usato, in maniera assai pretestuosa, per affermare una volontà di centralizzazione.

Il maxi scandalo Consip di cui le cronache si occupano in questi giorni dovrebbe indurre a guardare la realtà in altro modo, perché esso evidenzia quanto fosse infondata quell’idea, secondo la quale per sconfiggere la corruzione era opportuno accorpare gli appalti e, più in generale, trovare a Roma qualche cavaliere senza macchia cui affidare decisioni di ogni tipo.

In fondo, quanto sta venendo alla luce sulla spartizione dei 2,7 miliardi di euro messi a gara è proprio l’effetto di una scelta strategica di carattere tecnocratico, figlia di quel pregiudizio antifederalista sopra ricordato. D’altra parte, anche quando viene messo in risalto che una siringa costa alla regione Lombardia un decimo di quanto non costi alla regione Calabria, il più delle volte lo si fa per invocare “costi standard” imposti a tutti.

Il marcio venuto alla luce con la vicenda Consip ci costringe allora a tenere presenti alcune verità elementari. Innanzi tutto, che quando abbiamo a che fare con soldi pubblici è facile che ci sia chi spende risorse non sue con l’obiettivo di derivarne vantaggi personali; e poiché le cose stanno così, la prima strategia per ridurre la criminalità politica consiste nel restringere l’area d’intervento dello Stato.

Oltre a ciò, però, è anche opportuno imparare una volta per tutte che tanti piccoli governi che gestiscono modeste risorse (poche tasse e spese di entità limitate) offrono meno occasioni di corruzione ai politici disonesti e ai loro complici. Chi vive nella Lombardia settentrionale sa ben e che se in Svizzera c’è meno corruzione questo non dipende essenzialmente da questioni etniche o culturali, ma è soprattutto la conseguenza del fatto che i ventisei governi cantonali elvetici hanno bilanci assai più modesti di quello italiano. Di conseguenza, tutto è facilmente visibile e anche controllabile.

È normale che, da noi, l’abitante di un paese di provincia sia inorridito da ogni decisione del proprio assessore finalizzata unicamente a destinare qualche migliaia di euro a un proprio parente o elettore. Può sembrare strano, ma siamo molto più impressionati da queste piccole vicende che non dalle cifre a nove zeri dei maxi-scandali romani. Se però vogliamo incamminarci verso una società più onesta, la strada non è quella che porta a centralizzare ogni scelta, ma semmai quella opposta, che conduce a far sì che ogni realtà locale si amministri da sé, così che le amministrazioni traggano dai loro cittadini le risorse di cui hanno bisogno e a loro rendano conto di quanto fanno.

Non è insomma svuotando le autonomie e deresponsabilizzando cittadini e comunità che potremo avere una società migliore.

Da La Provincia, 8 agosto 2017

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