Sprecare il cibo è un insulto alla società, ha detto il presidente della Repubblica Mattarella.
Difficile non essere d’accordo quasi quanto è difficile credere che questo insulto si possa mettere a tacere con un intervento normativo che imponga obblighi e sanzioni al mercato alimentare.
Oggi, produciamo molto più cibo di ieri. Rispetto a previsioni catastrofiche che ritenevano il consumo dei terreni unito all’aumento della popolazione le cause della fine delle risorse alimentari, l’ingegno umano ha consentito di produrre di più, meglio e per più persone.
Far arrivare il cibo da un capo all’altro del mondo, fresco e in tempo reale in una filiera distributiva capace di garantire la sicurezza alimentare, è anch’esso un esito straordinario, comprensibile solo se lo si guarda nella prospettiva di una incessante, capillare, mutua e indeterminata cooperazione delle persone.
Ciò non toglie che una parte di quel cibo – circa un terzo della produzione mondiale, secondo la FAO – vada sprecata. Ma si spreca cibo esclusivamente perché nei paesi sviluppati ve ne è troppo, mentre in altre aree del mondo si muore di fame?
Dalle nostre parti certamente abbiamo abbondanza di prodotti alimentari, mentre sempre la FAO ci dice che una persona su 9 nel mondo soffre la fame. Quasi la metà dello spreco avviene tuttavia nei paesi in via di sviluppo (fonte Min. Ambiente): esso non deriva solo dalle eccedenze, ma anche da una scarsa efficienza della rete distributiva, dall’arretratezza dei sistemi agricoli, dall’assenza di strumenti di conservazione e sicurezza alimentare.
Elementi, questi ultimi, che proprio in quella società del consumo additata come pietra dello scandalo dello spreco alimentare sono stati superati dall’innovazione nei processi e negli strumenti del mercato agricolo e alimentare, a partire dall’invenzione del frigorifero.
Non a caso, nella consumistica Europa la maggior parte dello spreco – il 42% secondo la Commissione europea – avviene in casa, mentre solo la minima parte – il 5% – nel settore della distribuzione: indice che l’organizzazione di mercato della distribuzione agroalimentare si è dimostrata anche la più efficiente a non gettare le eccedenze nella pattumiera.
Eppure, è proprio il settore della distribuzione, specie quella medio-grande, che i governi, in un misto di demagogia e ignoranza, incolpano del problema degli sprechi.
In Francia, è in dirittura d’arrivo una norma che impone ai negozi di oltre 400 mq di donare il cibo invenduto a enti no profit e mense, a pena di una esosa multa. Una regola che si appropria di una buona pratica già attivata dalla maggior parte dei marchi di grande distribuzione francese e che quindi rischia di essere inutile dal punto di vista pratico, visto che si rivolge all’unico segmento del mercato agroalimentare che sembra aver già organizzato la distribuzione delle sue eccedenze, tramite le vendite promozionali o tramite convenzioni con le associazioni no profit.
Nel 1974, l’ONU approvava la dichiarazione universale per l’eliminazione definitiva della fame e della malnutrizione. Con migliaia di persone che continuano ogni giorno a morire di fame, secondo i dati del Programma alimentare mondiale, la FAO è scesa a più modesti obiettivi di dimezzare entro quest’anno la fame nel mondo, anche riducendo gli sprechi alimentari.
Non sprecare cibo è senz’altro un fenomeno, spesso un comportamento, auspicabile. Ma non è affatto detto che fenomeni e comportamenti auspicabili diventino reali solo perché obbligati.
All’Expo di Milano sono state presentate applicazioni mobili per evitare lo spreco di cibo rivendendo alimenti invenduti o monitorando quelli in scadenza o condividendo tra famiglie cibo già acquistato in eccedenza. Mentre la FAO sposta di continuo il termine dei suoi obiettivi, il mondo si organizza: i sistemi agroalimentari si sono evoluti, la produzione, la conservazione e la distribuzione dei cibi hanno raggiunto esiti inimmaginabili a qualunque governo, che ricadono non solo sulla reperibilità dei cibi, ma anche sulla gestione delle eccedenze. Per queste, ha contribuito molto di più il congelatore di qualsiasi dichiarazione di impegno delle organizzazioni internazionali o di qualsiasi Carta di Milano.