27 Marzo 2017
Il Giornale
Carlo Lottieri
Direttore del dipartimento di Teoria politica
Argomenti / Teoria e scienze sociali
Gli ultimi dati sugli occupati nell’amministrazione statale, ripartiti per classi di età, ci descrivono una funzione pubblica sempre più anziana. Tra quanti lavorano per lo Stato, infatti, solo meno del 2,7% ha un’età inferiore ai trent’anni e solo il 6,8% meno di 35. Ne risulta che l’età media è adesso superiore ai 50 anni (nel 2000 era inferiore di ben 6 anni) e che le nuove generazioni sono sempre più distanti dallo Stato.
Questo si può leggere in vari modi, ma è chiaro come tale invecchiamento della burocrazia ci aiuti a capire le difficoltà del mondo della Funzione pubblica nel suo cercare di restare al passo con i tempi. Senza ventenni e trentenni, per lo Stato non è facile sintonizzarsi con un mondo che ruota sempre più attorno a informatica e telematica.
Ma come mai si è arrivati a questo? È probabile che in parte questo discenda dal fatto che sovente si entra nello Stato solo dopo una fase spesso non breve di lavoro precario. Oltre a ciò, per il costante aggravarsi dei conti pubblici, è vero che in taluni settori si è provveduto a limitare le assunzioni: con la conseguenza che ora dobbiamo fare i conti con un apparato statale invecchiato e, di conseguenza, inadeguato ad affrontare le sfide del presente.
Tutto ciò non è necessariamente negativo. È infatti legittimo ritenere che, nel loro disincanto, quanti hanno tra i 20 e i 40 anni avvertano con chiarezza che il posto fisso è un obiettivo non soltanto irrealistico, ma anche triste e perfino un poco mortificante. Quando lo scorso anno Checco Zalone (al secolo, Luca Medici) ha trionfato nelle sale cinematografiche con Quo vado?, svelando con l’arma dell’ironia le assurdità dell’universo impiegatizio italiano, è apparso chiaro a molti quale sia la sensibilità in materia dei giovani di oggi.
Se le cose stanno così, ci si potrebbe trovare dinnanzi a uno scenario sociale in profonda trasformazione. In effetti, se il trend sarà confermato negli anni a venire, presto ci si verrà a trovare in un’Italia in cui il pubblico sarà difeso dalle generazioni più anziane (dai lavoratori statali, cui vanno aggiunti i pensionati), mentre il privato sarà l’area dei giovani, costretti a fare i conti con le incertezze del mercato e con la necessità di soddisfare ogni giorno le esigenze dei consumatori e dei datori di lavoro.
Questa non è una novità, poiché uno dei conflitti all’orizzonte oppone proprio le diverse classi d’età: mettendo in tensione quanti hanno generato un devastante debito pubblico (e un ancor peggiore debito pensionistico) e i lavoratori più giovani, che quei pesanti interessi sul debito sono ora chiamati a ripagare. E una Funzione pubblica sempre meno accogliente nei riguardi di ventenni e trentenni ora acuisce questo conflitto generazionale, per tanti aspetti necessario ad uscire da decenni di statalismo, spesa pubblica e irresponsabilità politica.
Da Il Giornale, 27 marzo 2017