Lo Stato sarà democratico ma noi non siamo liberi

Studiosi e scrittori raccontano la tracotanza del potere pubblico verso i cittadini

25 Novembre 2019

Libero

Argomenti / Teoria e scienze sociali

Aveva ragione Ennio Flaiano, convivere con lo Stato è diventato un estenuante esercizio di burocrazia.
Prendete Susanna Tamaro: osa prestare le sue braccia all’agricoltura tentando di produrre miele – e si trova subito immersa in una selva oscura di certificati, tasse, gabelle, domande protocollate: «Provo un senso di indignazione assoluta verso la perversione del burocratese. È appurato che le cose più complesse si possono dire in modo chiaro. Il non volerlo fare vuol dire solo due cose: A) non avere le idee chiare, B) non desiderare che gli altri le abbiano. In questa nebbia legislativa può avvenire tutto e il contrario di tutto – e tra questo tutto e il contrario di tutto prospera la grassa intercapedine della corruzione». Io sarei impazzito, lei ha trasformato il suo inferno di carta bollata in un esprit letterario. Anche se la suddetta esperienza agraria della Tamaro non è un racconto, bensì un curioso capitolo dal titolo: Un che di furtivo e di abbietto di un bel libro collettaneo a cura di Serena Sileoni, Noi e lo Stato-Siamo ancora sudditi? (euro 20, pp. 370 Ibl, Istituto Bruno Leoni) in cui la scrittrice evoca perfino l’analoga odissea consumata dal suo collega John Ruskin nel 1840, un inglese che, a cavallo di un ciuchino, rimase così scioccato nella nostra burocrazia al punto da trarne ispirazione gotica. Da allora, in Italia, le cose sono finanche peggiorate.

Crono psicotico
Il contributo della Tamaro, qui, è l’unico sorriso nel racconto del complicatissimo rapporto tra Stato e cittadini: parte dalla nascita delle Costituzione italiana nel 1946; prende spunto dal mitico pamphlet del 2012 Sudditi, dell’ex comunista Nicola Rossi e, attraverso i contributi di vari studiosi e saggisti, descrive come «fronteggiare la tracotanza se non l’arbitrio del potere pubblico in vari campi: la giustizia, il fisco, l’imprenditorialità, la proprietà scrive la Sileoni – in un perverso “rapporto asimmetrico e immaturo tra apparato pubblico e cittadini”». Lo Stato italiano, insomma, viene descritto come un Crono psicotico che divora i cittadini suoi figli. Mi ha impressionato, per esempio, nel capitolo di Vitalba Azzolini su burocrazia e potere, l’orribile snocciolare dei numeri: occorrono 5 giorni al mese solo per assolvere gli adempimenti fiscali; 227 per ottenere un permesso di costruzione (96 in Germania), 1120 giorni per risolvere giudiziariamente una controversia (533 nel resto d’Europa).

Lupi e Capua
E mi è tornato in mente uno studio di Carlo Garbarino, direttore dell’Osservatorio fiscale e contabile della Bocconi, che quantificava soltanto la nostra incertezza fiscale in una perdita di 17 miliardi di euro. Cifre stordenti.
Ma, nel libro, interessanti sono pure i rilievi di Manuel Seri sull’oppressione fiscale e sulla sua fissazione: la costante inversione dell’onere della prova in materia tributaria; o di Carlo Amenta e Luciano Lavecchia che pongono l’attualissima – in tempi di autonomia differenziata – questione meridionale come forma di dispotismo dei governi italiani; una jattura che porta il nord al dissenso referendario e il sud all’arretratezza economica.
Pure sostanzioso è l’intervento di Alessandro Barbano sulla gravità del “paradigma giustizialista” che fa “prima arrestare e poi interrogare” e rende “colpevoli fino a prova contraria”, in uno Stato che, sulla carta, dovrebbe essere di diritto. E dove, invece, in un grottesco gioco di specchi e d’inquisizioni, senza alcuna condanna, si costringe – per dire – Maurizio Lupi a dimettersi dal ruolo di ministro per un Rolex regalato al figlio e la scienziata internazionale Ilaria Capua a veder sfregiato il proprio onore (entrambi, peraltro, sono risultati estranei ai reati imputategli).

Il sospetto
E ora, col blocco della prescrizione dopo il primo grado alle porte ma senza una vera, contestuale riforma della giustizia, la situazione non potrà che degenerare. Noi e lo Stato tocca vari temi: pressione fiscale alle stelle, burocrazia cocciutamente orwelliana, giustizia schizofrenica, incapacità di adempiere alle (molte) promesse sociali, abuso affannoso dei decreti legge che scavalcano l’attività parlamentare. Sudditanza allo stato puro. Nessuno mi toglie dalla testa che Sileoni, vicedirettore generale del Bruno Leoni e costituzionalista di pregio, abbia assemblato questo j’accuse allo Stato perché toccata direttamente nella carne dall’imposizioni di cartelle esattoriali basate su studi di settore grotteschi la cui congruità ha, per lo Stato, l’apoditticità dell’oracolo di Delfi – lo confessa lei stessa – e da tasse surreali e pesantissime come quella dei rifiuti a Roma. La professoressa ha tutta la mia umana comprensione. Questo Stato fa schifo. Come afferma ella stessa, è vero che questo stesso Stato rende raro l’uso del libero arbitrio e indigna ogni spirito liberale; epperò “lo Stato siamo noi” che scegliamo i politici, i nostri facenti funzione. La regola aurea sarebbe che gli eletti debbano sempre essere eticamente superiori ai propri elettori. Se per questo Stato l’etica rimane un optional, beh, dovremmo farci un’analisi di coscienza…

da Libero, 24 novembre 2019

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