«Oggi la situazione è particolarmente difficile per chi voglia difendere le libertà individuali perché abbiamo a che fare con un’alleanza fortissima tra le élite politiche, economiche, ossia i grandi potentati come le big tech, e culturali. Lo si è visto tantissimo durante i due anni della pandemia in cui alcuni importanti scienziati venivano censurati dai social; in cui c’era la possibilità per gli agenti dell’Fbi di incontrare ogni settimana i responsabili di Twitter per dire quali post dovessero essere messi da parte; in cui persino un intellettuale per decenni prestigioso in Italia, come Giorgio Agamben, è stato bullizzato».
La settima edizione del Festival della cultura della libertà, dedicata alla memoria del fondatore, Corrado Sforza Fogliani, si è chiusa al PalabancaEventi spaziando a tutto campo sul tema del capitalismo e lanciando più di un segnale d’allarme. La due giorni, organizzata dall’Associazione dei Liberali piacentini in collaborazione con “Il Giornale’: Confedilizia, European students for liberty, ha previsto anche una visita alla stele contro tutti i totalitarismi nel giardino di via Santa Franca, dove Carlo Lottieri, direttore scientifico della manifestazione, ha esortato a «rimanere vigili poiché il mostro totalitario può riemergere in ogni momento».
Professor Lottieri, l’allarme che voi lanciate può sorprendere qualcuno. In quali ambiti della nostra vita vede adombrarsi questa grave minaccia?
«Il totalitarismo è stato il frutto avvelenato delle epoche democratiche. I regimi autoritari erano regimi semplici: qualcuno comandava e qualcuno obbediva. Nelle società democratiche, poiché la legittimazione arriva dal basso, il potere ha bisogno di godere di un consenso diffuso e dunque di espandersi con il controllo di ognuno di noi. In fondo, quello che offrono oggi le nuove tecnologie è esattamente la possibilità per il potere di indirizzarci, seguirci, sorvegliarci. Ciò che succede in Cina con il sistema del credito sociale potrebbe avvenire anche da noi e in parte ha già avuto luogo. Basti pensare ai meccanismi del Green pass che condizionavano l’esercizio di diritti fondamentali a trattamenti considerati in linea con le direttive del regime politico del momento. Purtroppo il potere dell’epoca contemporanea è di tipo nuovo rispetto al passato e per certi aspetti, come si è visto nelle esperienze nazista e comunista, molto più feroce».
La globalizzazione, in un mondo non più diviso in blocchi, ha attuato politiche economiche liberiste. Eppure durante il convegno è stata interpretata anche come il vettore per un ritorno del comunismo sotto altre spoglie.
«Come qualche studioso ha osservato, la presenza di un regime comunista, quindi di una costante alternativa al nostro sistema in cui in qualche modo le libertà erano assicurate, ci ancorava a un certo tipo divisione. Quando quella minaccia è caduta, è come se si fossero abbassate le difese, mentre non dobbiamo mai dimenticare quanto scritto da George Orwell: immaginava tutto ciò in Inghilterra, consapevole che potesse accadere in ogni società. Finché avevamo come criterio “attenzione, noi non vogliamo essere quella cosa lì”, eravamo più vigili. Le generazioni successive al crollo del muro di Berlino sembrano più disarmate e passive di fronte al potere».
Un tema da lei portato all’attenzione è il declino della proprietà privata. Come si starebbe concretizzando?
«In tanti modi. Non abbiamo mai avuto una tassazione così alta, né una così facile capacità da parte del potere di espropriare, né una così straordinaria invasione regolatoria. Quindi la proprietà è debolissima, anche perché oggi i meccanismi di definizione della proprietà sono essenzialmente redistributivi. Se abbiamo qualcosa è perché lo Stato ce l’attribuisce o riconosce, di conseguenza tutto viene da lì e può tornare lì. Abbiamo titoli sempre provvisori. È il trionfo della mano pubblica sulla società. Il governo non è più un’istituzione che la società civile definisce per tutelare i diritti, ma è il creatore dell’ordinamento giuridico, una parte del quale è il diritto tributario. In questa prospettiva sostenere, come vuole il pensiero liberale, che si debba porre un limite all’estrazione delle risorse da parte del potere, non ha più senso».
dalla Libertà, 31 gennaio 2023