LP e CD al tempo dello streaming

Considerazioni sulle evoluzioni dello sviluppo tecnologico e delle abitudini dei consumatori

3 Luglio 2023

L'Economia – Corriere della Sera

Alberto Mingardi

Direttore Generale

Argomenti / Economia e Mercato

Il 21 giugno 2023 il long play ha compiuto 75 anni. Quel giorno, nel 1948, la Columbia Records presentava il primo 33 giri della storia. C’era inciso il concerto per violino e orchestra di Mendelssohn. Nel mondo di Spotify è difficile rendersene conto, ma il disco in vinile fu davvero, come ha ricordato il critico John Edwards Hasse sul Wall Street Journal, una innovazione disruptive. I vecchi dischi fonografici a 78 giri contenevano dai tre ai cinque minuti di musica per lato, contro i ventidue e mezzo del 33 giri (si sarebbe poi arrivati a superare la mezz’ora). I 78 giri erano in gommalacca, fragile e rumorosa, che fu soppiantata dal vinile. Entro la fine del 1948, in sei mesi quindi, la Columbia aveva venduto qualcosa come 1,25 milioni di dischi. Pochi mesi prima di presentare al mondo questo miracolo tecnologico, la dirigenza di Columbia aveva invitato i rivali di RCA, gliel’aveva mostrato e aveva offerto loro la licenza. Per un paio di anni resistettero, per poi adottare il nuovo standard. Di lì a poco sarebbero nati i 45 giri, l’alternativa «giovane», un brano per lato. 

È difficile immaginare l’esplosione della musica pop degli anni Sessanta senza di essi. Vennero poi i lettori portatili (i meno giovani ricordano il bellissimo mangiadischi Minerva disegnato da Mario Bellini) e una dimensione tutta nuova di godere della musica. In una manciata di anni, l’ascolto della musica passa dal richiedere un fonografo ingombrante e tanta pazienza, a essere un consumo fruibile per la strada, da condividere con amici o occasionali compagni di viaggio. Trentatré anni dopo, nell’aprile 1981, a Salisburgo Herbert von Karajan convocava una conferenza stampa insieme ai boss di Sony, Philips Audio e Polygram. L’obiettivo era presentare un «miracolo tecnologico» al quale il demiurgico direttore d’orchestra aveva lavorato assieme a Sony, alla quale era legato. Durante la conferenza stampa, fece sentire alcuni pezzi incisi sul nuovo supporto. Il primo compact disc commercializzato, l’anno successivo, avrebbe avuto incisa la Sinfonia alpina di Strauss diretta proprio da Karajan.

Alcuni anni fa era stato annunciato che la fine del 2022 sarebbe coincisa con lo stop alla produzione di CD. Ma nel 2021, per la prima volta in diciassette anni, negli Stati Uniti le vendite di CD sono tornate a crescere e anzi gli americani hanno comprato il 50% in più di compact disc di quanto non avessero fatto l’anno prima. Nel 2022 le vendite di CD sono scese del 18%. In compenso, per la prima volta dal 1987 si sono venduti più album in vinile che CD: 41 contro 33 milioni.

Che c’è d’interessante? Si tratta di meri incidenti di percorso, su una strada che porta obbligatoriamente al trionfo del digitale? In realtà i percorsi della tecnologia sono più tortuosi di quel che crediamo. La strada dell’innovazione non è una linea retta inclinata a 45 gradi, che indica una meta predeterminata. Noi tendiamo a dimenticarci delle innovazioni di ieri e a sovrastimare quelle di oggi. È il modo in cui sono fatti gli esseri umani e una delle ragioni per cui si formano le “bolle”: tutti vogliamo essere parte dell’ultimo trend, avere qualcosa da dire sull’intelligenza artificiale, partecipare alla «transizione» più in voga. Ma l’innovazione non è fine a se stessa, non è una gara verso un traguardo. L’obiettivo è quello di offrire prodotti migliori a un consumatore disponibile a pagare per essi. I suoi gusti e le sue abitudini non vanno prese come «dati». Cambiano, sollecitati dalla tecnologia ma anche dal cambiamento degli stili di vita e dall’andirivieni delle mode.

In un certo senso, ciò a cui il digitale dà una risposta così efficace era già al centro della rivoluzione del vinile: la praticità e la portabilità che consentano di ascoltare musica nei luoghi e nei momenti più diversi. Poi abbiamo messo i mangianastri per le audiocassette nelle automobili e abbiamo imparato a portarci appresso la musica che volevamo noi, non quella che ci offrivano le stazioni radio. Col CD siamo giunti a un nuovo livello di nitore del suono. Qualcuno però poi ha pensato che il vinile fosse più «caldo»; giradischi migliori, che non ci lasciavano nell’ansia di sollevare la puntina a lato terminato, hanno contribuito a riportarlo in voga. Neanche i servizi di streaming sono tutti uguali e come c’è chi privilegia la completezza del catalogo qualcuno prova ad offrire una qualità migliore.

Questo mercato, che tutti conosciamo perché fa parte della nostra vita, dovrebbe insegnarci qualcosa sulle dinamiche dello sviluppo tecnologico. In primis, a non dimenticare che le innovazioni di ieri possono avere vita più lunga di quanto sospettiamo. Quella per il vinile sarà una passione da hipster, ma risponde alla necessità di regalare musica e con essa un bell’oggetto, che ci consenta di fare bella figura col destinatario del dono. Inoltre, è probabile che esistano sempre nuovi modi per perfezionare le innovazioni di ieri, renderle più attuali e significative anche per un mondo che sembra averle dimenticate.

Il tasso d’innovazione ottimale per la società, per così dire, non è necessariamente quello più alto possibile. Proprio perché le novità tecnologiche non hanno successo o meno in astratto, ma a seconda delle necessità e delle preferenze che incrociano, del modo in cui possono essere distribuite, dei costi delle transazioni. Anche se non sanno come vengono prodotti i beni e i servizi che desiderano, al posto di guida ci sono i consumatori, con i loro bisogni e le loro idiosincrasie. Sarebbe bene ricordarselo, in quest’epoca nella quale l’innovazione (soprattutto se verde) è concepita come una sorta di martello da dare in testa alle persone.

da L’Economia del Corriere della Sera, 3 luglio 2023

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