Ma il diritto umanitario batte ogni propaganda

Sarà necessario ripensare l'accordo con l'Albania per il trasferimento dei migranti così come l'impianto della gestione dei flussi

21 Ottobre 2024

La Stampa

Serena Sileoni

Argomenti / Politiche pubbliche

La limitazione dei trasferimenti in Albania alle sole persone provenienti da Paesi di origine sicura era stata fin dall’inizio ritenuta alla base della sostanziale inefficacia del Protocollo. Se presa sul serio, avrebbe ridotto l’efficacia dei centri fuori confine, data la generale provenienza dei migranti che il governo vorrebbe toglierci da sotto gli occhi. E infatti, la permanenza dei primi 16 migranti nel centro albanese è durata pochissimi giorni. La magistratura di Roma non ha convalidato i trattenimenti di 12 di loro, mentre di altri 4 era stato già ordinato il rientro in Italia perché fragili o minori. Alla base dei provvedimenti c’è l’inapplicabilità della procedura accelerata in frontiera, che è quella di cui si dovrebbero occupare le autorità nel centro albanese. A tutela di quanti provengono da Paesi non affidabili sul piano del rispetto dei diritti fondamentali, questa procedura è infatti ammessa solo per i migranti che – diversamente da quelli appena trasferiti in Albania – provengono da Paesi designati come sicuri, secondo una definizione che trova riscontro nel diritto europeo e che ha una sua solida interpretazione anche giurisprudenziale.

C’è da credere che Giorgia Meloni e i suoi ne fossero consapevoli fin dall’inizio e che siano andati avanti, fino a spedire sotto i riflettori 16 (16!) persone non solo a beneficio di telecamere, quanto per sfidare il sistema di protezione internazionale dei diritti umani, che impone ciò che il tribunale di Roma ha ricordato. Quella che appare come una sconfitta sul piano di una battaglia legale con la magistratura, sul piano politico non è necessariamente tale. Come nel caso Open Arms, consente ai partiti di maggioranza – gli stessi che hanno fatto opposizione e campagna elettorale con l’idea dei blocchi navali e della chiusura dei confini – di dire al proprio elettorato di averci provato. E la versione di destra del «vincolo esterno», che le permette di mantenere l’ambiguità tra le ormai decennali promesse sul controllo delle frontiere e i doveri di governo.

L’iniziativa giudiziaria era quindi prevedibile, almeno quanto scontata è stata la reazione. Questo conflitto tra politica e magistratura, ancora una volta come nel caso Open Arms, è un conflitto molto serio. Non personale, come fu per Berlusconi, ma ideologico. La materia migratoria e dell’identità nazionale fa parte del Dna sia della Lega (di Salvini) che di Fratelli d’Italia. Ne conseguono una sfida alle leggi vigenti per ragioni pre-legali, una lotta tra il loro senso del giusto e le regole imposte. Dall’alba del diritto, esistono sfide di questo tipo tra quello che si percepisce come giusto e ciò che incombe come diritto positivo. Ma ci sono due considerazioni che non fanno di Meloni una novella Antigone.

Primo: l’Europa sarà anche malconcia, ma resta il continente in cui si è imparato – e a caro prezzo – che il diritto esiste per proteggere la vulnerabilità dei deboli, non per sostenere il potere dei forti. Questo principio non è scritto in natura, ma fa senz’altro parte del nostro modo di pensare e anche, dal secondo Dopoguerra, di legiferare a livello internazionale. A meno di non voler credere che si sia trattata di una pia illusione – e potrebbe anche essere così – la protezione dei più deboli resta un punto non negoziabile, nemmeno da parte delle maggioranze di governo, nemmeno in nome della maggioranza del popolo. Un punto che, prima di appartenere alle regole scritte, appartiene al modo di vivere che come civiltà abbiamo faticosamente conquistato. Secondo: nel conflitto tra giustizia e diritto, abbiamo smesso di pensare alla prima come a qualcosa di divino, ma continuiamo a credere che il senso del giusto sia quello che è riconosciuto e sedimentato come tale in una determinata società. Sulla questione albanese, vale la pena chiedersi se «giusta» sia la protezione dei migranti da territori insicuri, o la protezione di una presunta sicurezza nazionale messa in pericolo solo per il fatto di dover seguire la procedura ordinaria di richiesta di asilo. Cicerone diceva che la legge coincide con la retta ragione. Ben vengano i pregiudizi occidentali se per retta ragione intendiamo che gli Stati, e il diritto di cui si fanno portavoce, funzionano bene quando fanno il possibile per proteggere i diritti degli ultimi, e non per consentire ai governi di fare propaganda politica

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