25 Febbraio 2020
La Provincia
Carlo Lottieri
Direttore del dipartimento di Teoria politica
Argomenti / Teoria e scienze sociali
L’incredibile situazione in cui ci si trova dinanzi alla diffusione del “coronavirus” obbliga a fare alcune considerazioni, che tengano presente il rapporto tra élite democratiche e società civile.
Quando si profila all’orizzonte qualcosa che potrebbe essere una pandemia è ovvio che si è costretti a compiere scelte assai difficili. Molto semplificando, si può dire che, in questo come in altri casi, ogni decisione comporta costi e benefici, ma in tal caso si deve fare i conti con quella dimensione un po’ inafferrabile che è sempre connessa all’esistenza di incognite che vengono diversamente valutate.
Nella nostra vita quotidiana siamo sempre dinanzi a situazioni analoghe. Andare in automobile da Milano a Roma, oppure prendere un aereo, comporta un certo grado di pericolo. La stessa cosa si può dire per un viaggio in India o per qualsiasi altra opzione.
In genere si sceglie di correre questo rischio sulla base di due considerazioni: si ritiene che il pericolo sia contenuto e, per giunta, sia accompagnato da opportunità a cui non si vuole rinunciare. Assumiamo spesso qualche rischio perché riteniamo che i vantaggi siano superiori ai costi.
Le misure di queste ore che hanno chiuso stadi, musei e università sono state assunte, però, da uomini politici; e allora bisogna interrogarsi su quale possa essere la situazione in cui essi si trovano a decidere.
In linea di massima, va detto che un governante tende a sopravvalutare i benefici di ogni misura preventiva (anche drastica) e a minimizzare i costi. Le motivazioni sono di varia natura. Innanzi tutto essi decidono al posto di altri, e quindi sono più che ragionevolmente orientati ad adottare un atteggiamento prudente, perché una cosa è rischiare su noi stessi e altra cosa è mettere a rischio la salute altrui. Oltre a ciò, un uomo politico tende ad assumere decisioni anche estreme per mettersi al riparo da critiche: il suo futuro è legato al consenso ed egli sa che un eccesso di prudenza può essere criticato, ma non certo quanto una sottovalutazione dei pericoli.
Infine bisogna tenere presente una legge fondamentale della politica: gli Stati tendono a espandersi grazie alle crisi e alle situazioni di “eccezione”. Per questa ragione è comprensibile che i politici chiamati a fronteggiare l’emergenza, in questo come in altri casi, tendano a gareggiare nell’assunzione di misure sempre più invasive e, alla fine, anche illiberali.
In questo quadro è allora cruciale che una pur grave “sindrome simil-influenzale” (come l’ha chiamata la virologa Ilaria Capua) non venga percepita come una nuova peste. È pure fondamentale che non si rinunci a tenere in considerazione il bilanciamento dei costi e dei benefici, che non si abbandoni ogni tutela dell’autonomia decisionale dei singoli in nome di un’esasperata attenzione al pericolo della diffusione del morbo. Ma per far questo è opportuno che i media facciano vera informazione e che si dia spazio alle voci di quanti da anni si occupano di tali temi all’interno dei centri di ricerca e dei laboratori universitari.
La speranza, insomma, è che non si esageri con gli allarmismi e che presto si possa tornare alla normalità.
Da La Provincia, 25 febbraio 2020