Ma senza la riforma, il decreto è a rischio

Da valutare come una tessera di un puzzle che va componendosi: mancano elementi sul completamento della riforma del lavoro, la ristrutturazione del welfare, la rivisitazione del fisco

17 Marzo 2014

Il Secolo XIX

Carlo Stagnaro

Direttore Ricerche e Studi

Argomenti / Teoria e scienze sociali

Se chi decide divide, non si può negare che almeno in relazione alla riforma del lavoro Matteo Renzi abbia inaugurato il suo mandato con una svolta decisionista. Ma davvero Giuliano Poletti sta imprimendo una svolta decisiva al mercato del lavoro?
Sì e no. Il decreto va valutato come una tessera di un puzzle che va componendosi: mancano elementi sul completamento della riforma del lavoro, la ristrutturazione del welfare, la rivisitazione del fisco. Per ora, il decreto dà ossigeno alle imprese mettendole nella condizione di assumere più facilmente, senza i vincoli della riforma Fornero.

La riforma ruota attorno alla maggiore versatilità dei contratti a termine (sarà possibile rinnovarli fino a otto volte nell’arco di 36 mesi), mettendo però un argine al loro utilizzo indiscriminato (non potranno eccedere il 20% dell’organico complessivo) con un occhio di riguardo alle piccole imprese (quelle con meno di 5 dipendenti potranno avere comunque un dipendente a tempo determinato). Chi vede il bicchiere mezzo pieno come il numero uno della Cisl, Raffaele Bonanni spera che questo aiuterà a ricondurre nell’alveo “normale” del rapporto di lavoro dipendente una serie di fattispecie finora mascherate dietro altre tipologie (come le false partite Iva). Queste ultime erano proprio una risposta alle rigidità lavoristiche. A tendere, il decreto dovrebbe coordinarsi col “codice semplificato del lavoro”, oggetto di una legge delega. Una prospettiva realistica deve tenere conto delle difficoltà di questo ulteriore passaggio.

Come ha scritto Pietro Ichino, «le resistenze di sinistra Pd e Cgil a una flessibilizzazione del contratto a tempo indeterminato fanno sì che queste misure siano probabilmente destinate a produrre una ulteriore contrazione della quota, già molto ridotta (una su sei), di assunzioni a tempo indeterminato». In questo senso, l’opposizione di Susanna Camusso rischia di essere una profezia che si auto-avvera: se riuscirà a far fallire la riforma del lavoro, del decreto si osserveranno soprattutto le conseguenze meno gradevoli.
Tutti gli attori, infatti, sono razionali. La Cgil, al di là della venatura politica e ideologica delle sue posizioni, difende gli interessi di una base associativa in costante diminuzione e tendenzialmente iper-tutelata, di cui i precari rappresentano solo una piccola fetta.
Le imprese, a regole date, fanno i propri interessi e talvolta è proprio la curvatura delle norme a spingerle verso equilibri socialmente insoddisfacenti. Il primo passo di Renzi va nella direzione giusta, ma ci porta anche in mezzo al guado: a questo punto il Paese non può più restare fermo. O fa un altro passo avanti, cambiando completamente l’impostazione della legislazione sul lavoro, oppure ne fa uno indietro, segnando ima sconfitta forse irrecuperabile per il nuovo premier.

Da Il Secolo XIX, 16 marzo 2014
Twitter: @CarloStagnaro

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