È ancora “la manovra del cambiamento”? Una dei punti di forza di questo governo è l’ampio consenso popolare del quale gode, che si è tradotto in una importante maggioranza parlamentare.
Nel 2013, Di Maio dichiarava che, “Mettendo la fiducia sulla Legge di Stabilità, questo Governo dimostra di non avere una maggioranza.” Di Maio era all’opposizione. Il Governo era guidato da Enrico Letta. Venerdì scorso, il Governo suo e di Salvini ha messo la fiducia alla stessa legge.
Non sorprende che l’arte di governare sia cosa diversa dall’arte di opporsi. Sarebbe quindi perfino accettabile, per chi avesse uno sguardo disincantato sulle dinamiche democratiche e politiche, che persino il governo del cambiamento ricorra agli stessi espedienti procedurali a cui ricorrono abitualmente i governi per approvare la più importante legge dell’anno: questione di fiducia, voto blindato, sedute notturne.
Stavolta, però, qualcosa di diverso c’è: e nella sostanza e nel modo.
Stavolta, il governo aveva detto di volersi allontanare dalla politica di bilancio dei precedenti, annunciando a chiare lettere una manovra espansiva, a conti fatti prociclica, basata su un aumento di spesa pubblica corrente con cui sfidare apertamente l’Unione europea.
A tirarla troppo, però, la corda si spezza. Per paura di spezzarla, quindi, l’Esecutivo, dopo settimane di bombardamento retorico, sembra essersi deciso a evitare lo scontro con Bruxelles. La quale, a sua volta, con le elezioni europee in vista, ha scelto di accettare la correzione di rotta.
Dalla sostanza, quindi, alla forma: un po’ per necessità diplomatiche, un po’ a causa del peggioramento del quadro macroeconomico, un po’ a causa dell’impennata dello spread, il Governo ha dovuto confezionare un bilancio diverso da quello promesso e ciò ha voluto dire ritardarne come mai la presentazione in Parlamento. All’inizio di dicembre, le Aule ancora non conoscevano il testo. Il 7 dicembre la Camera votava la fiducia. È successo altre volte che a metà dicembre le Camere votassero la fiducia, ma in terza, non in prima lettura. A quanto pare, però, il governo non ha ancora definito il testo da sottoporre a Bruxelles, che, dunque, si prevede che uscirà dal Senato ampiamente modificato.
Non sappiamo, ad oggi, quanto vale e che direzione prenderà la legge più importante dell’anno. Sappiamo però che probabilmente non ci sarà nulla del cambiamento promesso (dalle pensioni al reddito di cittadinanza) ma ci saranno incomprensibili commi dediti alla solita messe redistributiva, frutto di quel clientelismo italiano a cui questo governo avrebbe dovuto dare una scossa.
Dal nostro punto di vista, questo potrebbe essere il minore dei mali: di tutto avremmo bisogno tranne che di aumentare la spesa intermediata dallo Stato e il vincolo di dipendenza emotiva e economica che ci tiene tenacemente attaccati al suo seno.
Tuttavia, non possiamo nascondere il timore che, nell’ottica del Governo, questa sia solo una piccola sconfitta. La campagna elettorale per le europee è vicina: dire di non aver potuto fare quello che si voleva per colpa di un’Europa da cambiare potrebbe essere il modo per spostare la promessa del cambiamento sullo scenario europeo. I destini di Macron e Merkel, per motivi diversi, giocano a favore ai sovranisti nostrani per gettare ancora una volta la responsabilità politica oltre ogni ostacolo.
11 dicembre 2018