Manovra diversa dal passato

Se si tagliano le tasse senza tagliare le spese si fa debito: cioè si “spostano” le tasse dal contribuente di oggi a quello di domani


16 Ottobre 2024

Italia Oggi

Alberto Mingardi

Direttore Generale

Argomenti / Politiche pubbliche

«La priorità della nuova Manovra è abbassare lo spread che paghiamo sul debito pubblico e rassicurare i mercati sulla capacità del Paese di tenere i conti in ordine», dice Alberto Mingardi, direttore generale dell’Istituto Bruno Leoni e politologo della Iulm di Milano, «ed è la scelta politica più rilevante» fatta dal governo, sottolinea Mingardi nel giorno della presentazione in consiglio dei ministri della terza legge di bilancio dell’esecutivo Meloni, perché vuol dire «provare a non gravare con ulteriore debito le generazioni future». Ma 25 miliardi, tanto cubano le misure messe sul piatto della Finanziaria 2025, non sono poca cosa rispetto alle esigenze di un Paese in crisi di competitività? «La spesa pubblica italiana è di 1200 miliardi di euro, non di 25. Questi sono variazioni rispetto a quanto è già a bilancio. Chi dice che la Manovra è poca cosa sostiene, più o meno esplicitamente, che la differenza la fanno queste cose, e non come lo Stato gestisce tutto il resto… È una logica per la quale la spesa pubblica non può che aumentare».

Domanda. La legge di bilancio vale circa 25 miliardi, 9 in deficit. Una manovrina rispetto alle esigenze del Paese, attaccano le opposizioni. Una manovra che vuole ridare serietà al Paese, replica il ministro dell’economia, Giancarlo Giorgetti.

Risposta. È opportuno ricordare che la legge di bilancio ha sempre a che fare con risorse, iniziative e misure che si aggiungono a ciò che c’è già nel bilancio dello Stato. Molto spesso la discussione pubblica si fissa sui numeri, parla di una “manovrina”, come se quel che lo Stato e il governo fa stesse dentro lì, e basta. La spesa pubblica italiana è di 1200 miliardi di euro, non di 25. I 25 sono variazioni rispetto a quanto è già a bilancio. Chi dice che la Manovra è poca cosa sostiene, più o meno esplicitamente, che la differenza la fanno queste cose, e non come lo Stato gestisce tutto il resto… E’ una logica per la quale la spesa pubblica non può che aumentare, ma è anche una logica per cui tutto quello che è “manutenzione” dell’esistente può essere trascurato. Il risultato è improbabile sia un miglioramento nella qualità dei servizi che lo Stato offre, costringendoci a comprarli attraverso le imposte.

D. Quali sono le priorità?

R. Le priorità del ministro Giorgetti mi sembra siano chiare, abbassare lo spread che paghiamo sul debito pubblico attraverso un’azione che rassicuri i mercati sulla capacità del Paese di tenere i conti in ordine. Questo in un contesto gravato da impegni presi negli scorsi anni -come la riduzione del cuneo o l’accorpamento delle due aliquote Irpef- che il governo aveva, all’italiana, finanziato solo per l’anno in corso e non per i successivi. I 9 miliardi di deficit sul complesso della manovra sono tanti, ma in questo caso la Manovra evita di finanziare in deficit gli impegni presi e trova altre fonti di finanziamento per gli stessi…

D. Lei ne parla come di una manovra necessitata, che non poteva essere diversa…sa di governo tecnico.

R. L’ultimo governo tecnico che abbiamo avuto tutto ha fatto fuorché stringere la cinghia! Mi sembra che il ministro Giorgetti abbia molto presente il principio di realtà. Non so se questo significhi essere un “tecnico”. Mi pare che su alcune cose ci sia stato, dalla parte del MEF, un cambio di passo. Il Piano strutturale di bilancio di medio termine è strutturato attorno a stime molto realistiche della crescita italiana. Tutte le stime vanno poi riviste alla prova della realtà ma intanto è meglio non farsi illusioni e fare del realismo un elemento della politica di bilancio e della sua comunicazione, per così dire.

D. Dove sono le scelte politiche?

R. Il governo Meloni rifinanzia impegni degli anni scorsi, che ha scelto esso stesso: appunto, cuneo e riduzione della pressione fiscale sul ceto medio. Ma la scelta politica più rilevante è quella di provare a non gravare con ulteriore debito le generazioni future. Il debito è un fardello messo sulle spalle degli italiani che ancora non ci sono e darsi l’obiettivo di farlo il meno possibile è perfettamente coerente con lo spirito di una coalizione che ha messo l’emergenza demografica fra le sue priorità. C’è poi un altro elemento importante.

D. Cioè?

R. Da alcuni anni ci nutriamo dell’illusione che grandi investimenti pubblici, ovvero tentativi dello Stato di indirizzare lo sviluppo in una direzione o nell’altra, possano aumentare la velocità di crociera del Paese. Tutta la retorica del PNRR ruotava attorno a quest’idea. Il governo Meloni almeno implicitamente sembra aver preso atto che così non è. Una finanza pubblica in ordine oggi è la precondizione per ridurre l’impronta dello Stato domani.

D. Hanno fatto molto discutere i tagli lineari ai ministeri per 3 miliardi…

R. È una discussione surreale. Noi parliamo della minaccia terribile di 3 miliardi ai ministeri sempre con gli stessi toni che sarebbe sensato usare se la spesa pubblica fosse il 5% del PIL e andasse difesa a ogni costo, pena precipitare nella barbarie. Ma la spesa pubblica è circa metà del prodotto, metà! E considerarla incomprimibile non contribuisce certo a incentivare nessuno a spendere meglio i quattrini del contribuente. I tagli lineari godono di cattiva stampa, ma costringono gli attori politici a una assunzione di responsabilità per le risorse a loro disposizione. Lei parlava di scelta politica: la scelta politica è appunto decidere cosa fare con risorse scarse, non partire dall’ipotesi che le risorse aumenteranno sempre.

D. Conferma del taglio del cuneo fiscale per i redditi fino a 35mila euro e della riduzione a tre aliquote Irpef: sul fronte fiscale non si poteva fare di più?

R. È importante tagliare le tasse, ma se si tagliano le tasse senza tagliare le spese si fa debito: cioè si “spostano” le tasse dal contribuente di oggi a quello di domani. E noi abbiamo già “spostato” le tasse dall’oggi al domani troppo e troppo a lungo…

D. E la tassa sui profitti delle banche?

R. Le banche non sono associazioni di beneficenza. Una tassa su di loro si riflette, in qualche misura, su correntisti, mutuatari, eccetera.

D. Per il ceto medio la sensazione è che vi sia poco o niente.

R. Non è bello dirlo, ma in Italia le imposte andrebbero tagliate anche ai ceti cosiddetti più alti, che in realtà sono un numero assai modesto di contribuenti. Il nostro problema è diventare più produttivi, quindi incentivare la gente a lavorare di più. Ma per lavorare di più io non devo avere l’impressione che lo Stato si mangi quanto ho fatto di più rispetto all’anno precedente…

D. Ma l’Italia è ancora osservata speciale, tra Europa e mercati finanziari?

R. Abbiamo un debito pubblico che vale una volta e mezzo il nostro PIL, non può essere altrimenti.

oggi, 3 Dicembre 2024, il debito pubblico italiano ammonta a il debito pubblico oggi
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