Marco Romano, l’architetto che ascoltava le città europee

Marco Romano era un'urbanista, ma negli ultimi vent'anni aveva deciso di raccontare le città europee attraverso ritratti bellissimi

27 Gennaio 2025

Il Riformista

Alberto Mingardi

Direttore Generale

Argomenti / Teoria e scienze sociali

Capita spesso che una persona che tanto o poco ha una dimensione pubblica, come può essere il caso di uno studioso, sia poi radicalmente diverso nel privato.

Marco Romano invece parlava sempre con la stessa voce. Era inconfondibilmente lui, che scrivesse un libro sulla città come conseguenza inintenzionale dei desideri delle donne, che tenesse una relazione a un convegno, che ti stesse versando un bicchiere di vino mentre ti spiegava il suo lungimirante innamoramento per il più famoso dei cru di Barolo, il Cannubi.

Romano era un urbanista ma, perlomeno negli ultimi vent’anni, nulla aveva più dell’approccio programmaticamente ortopedico di quella disciplina.

Raccontava le città attraverso “ritratti” (bellissimi, per lungo tempo anche online), ne celebrava l’estetica perché a sua volta essa celebrava i desideri e le passioni delle persone, e non sempre e non necessariamente quelle degli architetti.

Considerava la città europea un grande organismo che aveva attraversato una lunga evoluzione e ancora cambiava e si evolveva. Le istituzioni dello Stato moderno gli sembravano una ripresa pantografata di quelle comunali. A Milano dava del tu sentendosi contemporaneo di Bonvesin de la Riva come di Carlo Cattaneo o di Gio Ponti.

Aveva il gusto della polemica, ma la storia era la grande cornice all’interno della quale inquadrava tutto. Forse per questo lui, uomo di “sinistra”, aveva ascoltato senza pregiudizi amministrazioni e politici di centrodestra. Aveva per gli altri la pazienza che viene dalla curiosità e dall’ironia.

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