Martino, il liberista sempre coerente

Con la sua scomparsa, si spegne una voce libera e controcorrente

7 Marzo 2022

La Provincia

Carlo Lottieri

Direttore del dipartimento di Teoria politica

Argomenti / Teoria e scienze sociali

Con la morte di Antonio Martino esce di scena una delle voci più limpide e coerenti di quel liberalismo che si è sempre sforzato di coniugare il rispetto dell’individuo e la tutela della proprietà e del mercato. Il suo, insomma, è sempre stato un liberalismo liberista, persuaso anche sulla scorta della lezione di Luigi Einaudi che non si possano mai separare le libertà personali da quelle economiche.

Allievo di Milton Friedman a Chicago, rimase sempre legato al maestro, a cui dedicò molti scritti e a cui guardò sempre come a un faro. Non a caso fu proprio Martino a introdurre nel dibattito italiano quelle tesi, dette monetariste, che hanno sempre suggerito di evitare pur entro un quadro che ammetteva l’opportunità di banche centrali ogni illimitata espansione monetaria, così da scongiurare fenomeni inflazionistici. Se quelle proposte fossero state meglio accolte in Italia e in Europa, oggi non ci troveremmo a fare i conti con l’aumento dei prezzi che colpisce i nostri bilanci familiari.

Professore di economia alla Sapienza e poi alla Luiss, ha sempre fatto il possibile per incidere nel dibattito pubblico. Molto attivo a livello internazionale, è stato pure presidente della Mont Pèlerin Society, l’associazione fondata da Friedrich A. von Hayek per difendere le ragioni della libertà individuale. Negli anni Ottanta ha animato il Centro di Ricerche Economiche Applicate (una piccola istituzione volta a difendere le ragioni del liberismo) e nel decennio successivo ha accettato di entrare in politica, partecipando alla fondazione di Forza Italia, di cui ebbe la tessera numero 2. Ebbe così l’opportunità di diventare ministro degli Affari Esteri e poi della Difesa, avviando quel processo che porterà alla cancellazione della leva militare obbligatoria.

Strenuo difensore delle libertà individuali, aveva una straordinaria facilità di scrittura e per anni in particolare su “il Giornale” scrisse analisi economiche e commenti alle vicende politiche che coniugavano sapienza e arguzia, e nelle quali trasferiva quel suo gusto molto anglosassone per la battuta di spirito. Una delle sue lezioni più celebri, che amava ripetere, è la seguente: «Il liberale deve essere conservatore quando si tratta di difendere le libertà esistenti; radicale, quando è necessario conquistare nuovi spazi di libertà; reazionario, se è opportuno recuperare libertà perdute; e anche rivoluzionario, perché se non c’è altro modo di sbarazzarsi di un dispotismo la rivoluzione va percorsa».

E a più riprese, in effetti, pur muovendosi all’interno del centro-destra seppe assumere posizioni scomode: ad esempio a difesa della liberalizzazione delle droghe, anche stavolta sulle orme del maestro Friedman. Nelle sue prese di posizione era sempre molto facile riconoscere una vena libertaria. Come quando, non molte settimane fa, contestò con toni molto accesi l’obbligo vaccinale, sostenendo che calpestava i principi fondamentali del diritto. Aggiungendo di rifiutare “l’idea che la salute non sia di nostra proprietà, ma dello Stato, che nella sua grandissima generosità si occupa di noi”. Con la sua scomparsa, si spegne una voce libera e controcorrente.

da La Provincia, 7 marzo 2022

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