Ci hanno messo qualche anno, ma alla fine a Bruxelles hanno preso atto che ciò che contraddistingue un libro non è la carta su cui è stampato.
Dopo anni di divieti per gli Stati di applicare l’IVA agevolata dei libri su carta anche alle versioni digitali, finalmente il Parlamento ci ha ripensato. I diversi Paesi UE sono liberi di abbassare l’aliquota dell’imposta, fino a equipararla a quella ridotta dei libri tradizionali.
È una buona notizia. Ma quanto ci è voluto. Solo tre mesi fa, la Corte di giustizia doveva ancora affermare che l’aliquota ridotta poteva applicarsi ai formati elettronici solo se in CD-ROM. Un supporto che molti computer non leggono nemmeno più. Rispetto a un mondo che cambia abitudini e strumenti, anche di lettura, le istituzioni europee non si schiodavano dall’idea che l’inchiostro elettronico è diverso da quello da stampa.
Bisognava per forza cambiare la legislazione europea, per smetterla di sostenere idee cavillose e incomprensibili secondo cui l’e book è un prodotto elettronico e non culturale o che regimi statali diversi sono distorsivi del mercato unico. Va dato atto all’Italia, insieme ad altri Stati europei, di aver cercato più volte di forzare la mano, soprattutto da che ministro competente è Dario Franceschini, per giungere alla conclusione a cui qualsiasi lettore è già giunto da tempo: un libro è un libro, su qualunque elemento fisico sia vergato.
Bastava davvero poco per adeguare il regime Iva dei libri a un principio storico e basilare di equità tributaria, per cui a identici presupposti impositivi si applica lo stesso regime impositivo. Ci hanno impiegato più tempo di quanto non occorresse. Meglio tardi che mai.
6 giugno 2017