5 Luglio 2018
Il Sole 24 Ore
Franco Debenedetti
Presidente, Fondazione IBL
Argomenti / Teoria e scienze sociali
L’autodafé per il mancato autodafé, a questo si è finora sostanzialmente ridotto il dibattito nella sinistra: non essere andati alle cause delle sconfitte, del 4 marzo, e prima del 4 dicembre, e prima ancora della rottura del patto che ne fu la causa; non averne trattole conseguenze nella leadership del partito. Col posizionarsi in vista di primarie, congresso, nomina del segretario, dovrebbe iniziare la fase nuova, di definizione della piattaforma politica. Sarà, dato che l’opposizione attualmente non può che coincidere conia sinistra, la piattaforma politica dell’opposizione al governo Salvini-Di Maio. Per farlo è necessario individuarne scenario, orizzonte temporale, target.
Quanto allo scenario conviene fare due ipotesi. Una, che l’Europa non collassi per gli effetti dirompenti che hanno, sugli elettorati dei singoli Paesi, sia i timori per l’ondata migratoria, sia i risentimenti di chi ha maggiormente subìto le conseguenze della crisi finanziaria. L’altra, che l’Italia rimanga nell’euro, cioè che non si verifichi né un’uscita obbligata, tipo Grecia, né un’uscita volontaria, tipo Regno Unito ma, a differenza di quella, rapida e non negoziata. Infatti se andasse diversamente, tale sarebbe il cataclisma a cui andremmo incontro che non avrebbe senso parlare di piattaforma politica, ma di piano di emergenza. Se, all’opposto, queste due ipotesi si dimostrassero compatibili con il sovranismo all’esterno e i programmi economici all’interno, non ci sarebbe più bisogno né di piattaforme politiche e neppure di opposizione, ma solo da augurarsi che duri questo Paese del Bengodi.
Sappiamo per certo che così non sarà. Quand’anche la retorica populista riuscisse a contenere la delusione per le promesse mancate e per gli impegni disattesi; quand’anche venisse consentito a questo governo di fare spese in deficit finanziate da entrate future, verrebbero al pettine i problemi dimenticati: della mancata crescita, della produttività calante, dell’inefficienza dello Stato. Il castello di sabbia crollerà. Tra quanto? Se l’Europa (e i mercati) sono indulgenti, non mesi, ma anni: diciamo uno o due, magari tre (trenta lasciamolo dire ad altri). Anche in caso di nuove elezioni: l’unico che può chiamarle è Salvini, e lo farebbe solo quando fosse sufficientemente sicuro di avere la maggioranza (con quel che resta della sua coalizione). L’orizzonte temporale in cui l’opposizione deve inscrivere il suo programma è dunque quello tra un naufragio evitato e un faticoso navigare.
Quanto al target a cui rivolgersi è inutile cercare di spostare dalla propria parte gli elettori che hanno votato per i due partiti del “contratto”. Non sembra logico puntare, come fa Nicola Zingaretti , su una spaccatura nel M5S che offra occasione al Pd di rientrare nel gioco politico. Altra è la spaccatura da evitare, quella all’interno del Pd, miracolosamente scongiurata prima che si formasse il governo Conte. L’opposizione deve parlare prima di tutto a chi non ha votato per questa maggioranza. A loro deve dare la sicurezza che c’è chi tiene alta la bandiera del buon modo di governare. Quindi essere puntuale e severa nelle critiche verso le cose che questo Governo fa e propositiva su come si potrebbero fare, senza aver paura di riconoscer quelle che non ha fatto quando era al governo: per aiutare chi è scivolato nella povertà, per riattivare l’ascensore sociale, per liberare le energie di chi produce (c’è modo e modo di progettare una fiat tax). Soprattutto per recuperare produttività, senza di che non c’è piano di dignità che tenga. Non sarà facile: perché, ad esempio, ad abbassare la produttività concorrono anche persone che trovano la loro convenienza nel mantenerla com’è. Deve farlo, l’opposizione, non con lo spirito della reconquista, ma con quello dell’accoglienza ai delusi.
Se non fosse una locuzione abusata e sovente malintesa, l’opposizione dovrebbe costruirsi come una réserve de la République. Che attende il suo momento per entrare in funzione. Essere aggregante, senza preclusioni né preconcetti, senza demonizzazione né dileggio. Fare con l’antipopulismo quello che la sinistra fece con l’antiberlusconismo, questo sì che sarebbe imperdonabile. Non ha senso parlare male del populismo e ripeterne gli slogan: della riforma di «un’Europa che non vogliamo», dimenticando che la modifica dei trattati richiede l’accordo di quei 28 che non l’hanno trovato neppure sugli hotspot; contro l’austerità, dimenticando che dal zon l’Europa ci ha concesso, dal 2015 al 2018, 29,7 miliardi di euro di flessibilità; contro l’euro, dimenticando il Qe; contro la Germania e il suo avanzo commerciale, ignorando che questo è uno dei 14. indicatori per la procedura di squilibrio macroeconomico, e che è posto a protezione dei Paesi dell’Unione, mentre l’export tedesco va principalmente verso Usa, Cina, e Regno Unito. L’opposizione non è la sinistra di Salvini o la destra di Di Maio: è diversa, perché diverso è il suo paradigma, la sua visione del mondo. Mercato, meritocrazia, competizione: non solo perché, senza, non val neppure la pena incominciare, ma perché del suo paradigma sono parte integrante.
Da Il Sole-24 Ore, 5 luglio 2018