Sicuri che sia giusto mettere un tetto al prezzo del metano?

Nulla è più dannoso che cambiare in modo strutturale le regole del gioco sulla scorta del panico

1 Settembre 2022

MF-Milano Finanza

Carlo Stagnaro

Direttore Ricerche e Studi

Argomenti / Ambiente e Energia

Martedì 30 agosto i prezzi del gas al Ttf hanno registrato un ulteriore calo, per il secondo giorno di fila, dopo un mese di continui rialzi. La Commissione europea e gli Stati membri continuano intanto a interrogarsi sul che fare. Al Consiglio del prossimo 9 settembre sarà discussa la proposta italiana di un price cap sul gas, che negli ultimi giorni ha ricevuto significative (e forse inattese) aperture dall’Austria e dalla Germania. Siamo sicuri che sia la cosa giusta da fare? E quali sono le alternative?

I contorni della proposta non sono chiari: non si capisce, in particolare, se si riferisce al solo metano importato via gasdotto dalla Russia o a tutte le transazioni spot. In ogni caso, il presupposto di un simile intervento è che i prezzi spot (a cui sono indicizzati i contratti di lungo termine) non riflettono le condizioni reali di domanda e offerta, ma l’ azione degli speculatori.

Questa tesi andrebbe, quanto meno, dimostrata. Infatti, il rischio è quello di acuire la scarsità attraverso due canali differenti. Da un lato, i venditori potrebbero essere spinti a portare altrove i propri carichi, specie nel caso del Gnl. Dall’altro, un contenimento artificiale dei prezzi potrebbe scoraggiare iniziative di risparmio energetico che sono quanto mai necessarie.

A dispetto dei suoi limiti, l’idea di un cap sul Ttf non è necessariamente la peggiore tra quelle che circolano. Si parla di tetti nazionali al prezzo di gas o elettricità. Altri, impropriamente, suggeriscono un «disaccoppiamento» del prezzo dell’energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili dai costi del gas, come se il Kwh verde fosse distinguibile, sotto il profilo merceologico, da quello termoelettrico.

Anche tali misure restano fumose e confinate più agli slogan che all’elaborazione concreta. Hanno però in comune un elemento: diversamente dal price cap, non sono pensate come iniziative emergenziali, ma hanno l’ ambizione di riscrivere le modalità di funzionamento del mercato.

Nulla è più dannoso che cambiare in modo strutturale le regole del gioco sulla scorta del panico. Anche perché la situazione attuale, per quanto destinata a durare a lungo, non è certamente definitiva: è probabile che, nel giro di qualche anno, i poderosi investimenti in corso nelle infrastrutture gas e nelle fonti rinnovabili ci consegneranno un’Europa più sicura dal punto di vista energetico e con prezzi nuovamente nell’ alveo dei livelli storici.

Per affrontare la crisi in modo efficace, allora, bisogna porla nel giusto orizzonte temporale. Che non è né di brevissimo né di lunghissimo termine. Nel primo caso l’approccio più razionale sarebbe quello di tamponare l’inflazione energetica, come ha fatto il governo in questi mesi spendendo oltre trenta miliardi di euro e impegnandone altre decine: col senno di poi, è difficile dire che sia stato «debito buono». Se invece la situazione fosse permanente, bisognerebbe affrettarsi a eliminare il gas dal nostro mix energetico, utilizzando ogni altra fonte (dalle rinnovabili al carbone) per soddisfare il nostro fabbisogno.

Poiché, invece, ci troviamo nel mezzo di un fenomeno ciclico, troppo ampio per essere considerato effimero ma troppo legato a cause contingenti per essere visto alla stregua di una condanna, bisogna agire sui fondamentali del mercato. Cioè promuovere investimenti nell’offerta di energia (la diversificazione degli approvvigionamenti gas, le rinnovabili, il nucleare, la ripresa delle estrazioni di gas) e soprattutto sforzarsi di contenere la domanda.

Nell’ immediato, è proprio questo il gigante addormentato che i governi, per ragioni forse comprensibili, sono restii a disturbare. Eppure, è impensabile superare i prossimi due inverni se non si mettono in atto politiche, se non proprio di razionamento, quanto meno di contenimento dei consumi. A partire dalle imprese, che dovrebbero essere incentivate a ridurre la domanda nei limiti del possibile. Ma senza trascurare le famiglie e il settore dei servizi. Invece di sussidiare l’utilizzo di energia, bisognerebbe convincere famiglie e aziende a considerarla come un prodotto pregiato da centellinare. Il momento migliore per avviare una seria campagna per il risparmio era ieri. Non l’abbiamo fatto: cominciamo prima che sia troppo tardi.

da MF-Milano Finanza, 1 settembre 2022

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