Il brindisi è di rito, si esprimono I desideri, si fanno propositi. Il primo gennaio siamo tutti buoni. Domani poi l’appuntamento assume una coloritura speciale. Perché inizia un nuovo decennio, gli Anni Venti del XXI secolo. E perché iniziano, al tempo stesso, settimane e mesi durante i quali importanti decisioni attendono l’opinione pubblica. Anche nelle terre del Sud. In Calabria, Campania, Puglia si eleggeranno i nuovi governatori. A Napoli, un po’ dopo, verrà scelto il successore di Luigi de Magistris. E sarà importante perciò disporre di informazioni adeguate su quanto i nostri amministratori hanno fatto o non fatto, sui risultati delle policies realizzate, sull’attendibilità delle promesse. Prima conoscere, poi deliberare, diceva Luigi Einaudi. Parole terribilmente attuali in tempi di populismi e falce news. E tanto più attuali nel Mezzogiorno.
Qui il 2020 si apre con l’annuncio di Giuseppe Conte che il 34% della spesa pubblica verrà destinato «in via prioritaria» al Sud. E con la speranza che il governo, mettendoci molti soldi, riuscirà a trattenere gli indiani di ArcelorMittal. E che magari, utilizzando la medesima (costosa) metodologia, saprà risolvere qualche altra vertenza industriale. E che poi, evitando pudicamente di parlare di salvataggio, inventerà al posto della Popolare di Bari niente di meno che una Banca del Sud. E che comunque, a dispetto delle magagne acclarate, continuerà a finanziare il reddito di cittadinanza. E via dicendo. Ebbene, come giudicare tanta cornucopia meridionalista? Che ne sa l’elettore medio l’uomo della strada della concretezza e dell’utilità di queste politiche? Di quali strumenti conoscitivi dispone per votare a occhi aperti nelle prossime regionali, nelle prossime comunali e, quando ci saranno, nelle prossime politiche?
Certo è che il discorso pubblico meridionale sembra sempre sull’orlo di una pericolosa, poco consapevole autoreferenzialità. Coltiva la favola di un Sud in debito con la stato (se non con il Risorgimento “piemontese”). Sopravvaluta le proprie eccellenze, che pure esistono eccome, rivangando fantasiosi primati borbonici. Elabora, in risposta al becero razzismo antimeridionale degli stadi di calcio e di certo leghismo, un grottesco razzismo antisettentrionale secondo il quale i Nord è la patria del capitalismo “prenditore”, degli appaltatori corrotti, perfino di una società permeabile alla ndrangheta. E naturalmente non trova di meglio che attendere il soccorso dello Stato e votare per i partiti che reggono lo stato. Ieri la Democrazia cristiana, oggi il Movimento 5 Stelle, domani forse la Lega.
Si dirà che il Sud non è solo nostalgia borbonica, né solo invettiva alla Pino Aprile. Ovvio. E tuttavia bisognerebbe riflettere sulla cronica indisponibilità della cultura meridionale e del sentimento meridionale a discutere i propri problemi in una chiave che non sia, esplicitamente o subliminalmente, la vulgata consolatoria dei torti subiti e dei doverosi risarcimenti. Dopotutto su tale vulgata non sono mai mancati gli avvertimenti severi e le voci critiche.
Nel 1994, per esempio, Carlo Triglia, sociologo, ex-ministro per il Sud, pubblicò Sviluppo senza autonomia. Gli effetti perversi delle politiche nel Mezzogiorno (il Mulino). Nel 2005, Nicola Rossi, economista, già parlamentare del Pd, disse cose non molto diverse nel pamphlet Mediterraneo del Nord. Un’altra idea del Mezzogiorno (Laterza). E pochi mesi fa, due ricercatori di Bankitalia, Antonio Accetturo e Guido de Blasio, hanno dato alle stampe un altro aureo libretto, Morire di aiuti. I fallimenti delle politiche per il Sud (Istituto Bruno Leoni). Tre saggi importanti, ma poco discussi, stroncati senza troppi complimenti, archiviati in fretta e furia.
Ancor più sorda è stata l’opinione pubblica meridionale di fronte all’aspro ragionamento di Luca Ricolfi, Il sacco del Nord (Guerini e Associati), che documentava i generosi trasferimenti dal centro al Sud e il loro cattivo utilizzo locale. Nè miglior sorte hanno avuto certe posizioni eretiche di Tito Boeri intorno al problema dell’uniformità salariale tra Meridione e Settentrione. Sempre, invariabilmente, sulla possibilità di discutere ha fatto aggio l’ideologia rivendicazionista e il rifiuto di valutare i guasti dell’assistenzialismo. Una vera e propria falsa coscienza, per dirla con Marx ed Engels, la quale affonda in convincimenti storicamente assai radicati, ma si nutre oggi di un’informazione pigra, talvolta politicamente condizionata, disabituata a spiegare «come stanno davvero le cose».
La conseguenza, però, è che la Campania della Terra dei fuochi e della devastazione idrogeologica rimane indifferente ai movimenti ambientalisti, che una Napoli infestata da camorra e microviolenza non adotta comportamenti di legalità neppure nei suoi ceti colti e benestanti, che la città dell’accoglienza e dei porti aperti non fa una piega di fronte alla vittima di un albero caduto per il vento (ma era un marocchino), che regioni come la Puglia del collasso siderurgico, delle risorse energetiche sottomarine, della xylella, affidano la propria rappresentanza a politici esperti in demagogia e sordi alla ricerca delle soluzioni. La conseguenza cioè è un deficit grave di società civile, su cui prospera una società politica spesso mediocre. Ed è, fatalmente, la fuga dei migliori.
Questo inizio degli Anni Venti, dopo i brindisi di rito, dovrebbe essere l’occasione per guardarsi attorno, documentarsi, valutare i fatti senza malriposti rancori, scegliere le donne e gli uomini più adatti a governare il Sud, mettersi in gioco ciascuna, ciascuno anche personalmente.
Da Corriere del mezzogiorno, 31 dicembre 2019