Il recente volume di Alberto Mingardi La verità, vi prego, sul neoliberismo. Il poco che c’è, il tanto che manca (Marsilio, pagine 398, euro 20,00) si presenta interessante e provocatorio.
Il contesto teorico è la consapevolezza che la differenza cruciale fra un’economia libera e una in cui le risorse sono allocate da “Qualcuno” è che sarà proprio la libertà a consentire di correggere più rapidamente gli eventuali errori nell’allocazione. Un ulteriore presupposto è dato dal fatto che l’allocazione delle risorse scarse per usi alternativi non è sempre ottimale, ne consegue che un’economia di mercato richiede flessibilità e attitudine al cambiamento.
Richiamando Maffeo Pantaleoni, Mingardi osserva come gli uomini preferiscano la stabilità e cerchino di evitare il cambiamento. Tale tendenza che si esplicita nella richiesta politica di protezione delle merci (dazi) e delle persone (prima gli italiani), finisce per peggiorare la situazione. Il risultato sarà una generale distorsione delle informazioni veicolate dal mercato, con grave danno per tutti gli operatori.
La tesi di fondo del libro è che «si raglia contro il “neoliberismo” perché abbiamo bisogno di un nemico cui dare le colpe delle nostre sventure». Fautore sostiene che prendersela con le «forze impersonali» dell’economia è comodo e indolore, in fondo queste non rispondono e si vive nell’illusione di avere ragione. Tuttavia, «l’idea che il mondo soffra per eccesso di deregolamentazione non regge a un esame banale dei fatti». Forse è vero proprio il contrario, ossia che la tanto agognata crescita economica dipende dalla possibilità che le persone siano libere di provare a realizzare i propri progetti e non da faraonici piani industriali governati dall’autorità pubblica. Mingardi è consapevole di quanto questa posizione sia controintuitiva, specie per gli intellettuali, i quali spesso snobbano la “libertà del birraio” derubricandola in forme di egoismo piccolo-borghese, non comprendendo che si tratta della molla indispensabile per qualsiasi crescita economica.
L’autore collega il cosiddetto “neoliberismo”, formula ambigua, mutuata dall’inglese neoliberalism, all’esperienza “ordoliberale” tedesca che, nel secondo dopoguerra, assunse il nome di Economia Sociale di Mercato, filone del pensiero liberale continentale che, dopo i totalitarismi, disegnò un sistema ordinamentale tale da impedire alla sfera politica di agire in modo discrezionale, adattando la leva economica, produttiva, fiscale e monetaria alle proprie esigenze elettorali. In Italia alfieri di questa prospettiva furono Luigi Einaudi e Luigi Sturzo. Tra i tanti temi trattati dal volume particolarmente incisivo risulta quello dedicato ai populismi.
I fenomeni Trump, Brexit, Salvini, afferma Mingardi, rispondono a logiche diverse ma presentano la costante della trasposizione retorica di temi economici in quelli culturali. Ne è un esempio la polemica sui flussi migratori. L’immigrazione è portatrice di esternalità positive disperse nel lungo periodo e di esternalità negative concentrate nel breve. Il che produce una domanda elettorale di chiusura dei confini comprensibile ma, sottolinea Mingardi, che crea anche inefficienza, poiché blocca la circolazione del fondamentale fattore produttivo.
da Avvenire, 5 marzo 2019