È stato un errore trasformare in scontro morale la pandemia

L'analisi del politologo Alberto Mingardi sulla gestione dell'allarme sanitario

18 Gennaio 2022

Il Piccolo

Argomenti / Teoria e scienze sociali

È un libro che potrebbe non piacere né ai fautori del Green pass né ai no vax. Una lettura del coronavirus fondata sulla consapevolezza delle difficoltà, dei torti e delle ragioni di tutti. In un contesto in cui «la paura sembra avere annichilito la nostra razionalità». Alberto Mingardi, storico del pensiero politico, docente alla Iulm di Milano, presenterà venerdì 21 gennaio al Caffè San Marco alle 16.30, assieme a Francesco Magris, La società chiusa in casa. La libertà dei moderni dopo la pandemia, scritto con il professore di Storia della medicina Gilberto Corbellini.

Mingardi, qualcuno definisce “controcorrente” questo libro. Lo è?
«La pandemia ha portato con sé una domanda di risposte chiare, nette, senza spazio per il dubbio. Nel libro si è preferito enfatizzare il fatto che ci troviamo davanti a un fenomeno biologico estremamente complesso. Ed è lecito dubitare non solo delle risposte, ma delle stesse domande che ci siamo fatti».

Se il fenomeno è complesso, si finisce con il giustificare chi non l’ha gestito al meglio?
«In parte sì, in parte no. La prima risposta dei governi, il ricorso al principio di precauzione, è comprensibile. Ma c’è stato anche, sin dall’inizio, e per responsabilità non secondaria del nostro Paese, il pregiudizio per cui, per fronteggiare il virus, andavano abbandonate le prassi della società aperta. Crediamo invece sia un errore considerare un impiccio la libertà degli individui e le regole del diritto».

A cosa pensa?
«Puntare sulla chiusura prolungata delle scuole ha fatto più danno che altro. Più in generale, si è voluto dare l’idea di essere sempre al posto di guida, in cabina di pilotaggio. Ma, nella danza evolutiva tra noi e un virus, è impensabile che tutto possa dipendere dalle decisioni delle autorità».

C’è stato autoritarismo?
«Parlerei di paternalismo. Abbiamo affrontato la pandemia senza responsabilizzare gli italiani. Profondamente ingiusto visto come gli italiani, strepitosamente responsabili, si sono comportati in questi due anni».

Che cosa ci sta salvando o ci salverà?
«Un prodotto delle società aperte: il vaccino».

Per questo le tesi del libro non piaceranno ai no vax?
«I vaccini non sono il frutto di un complotto di Big Pharma, non vengono inoculati assieme ad alcun microchip. Non sono perfetti, ma sono indiscutibilmente efficaci».

Il Green pass?
«L’obbligo vaccinale non è la soluzione a tutti i problemi. La medicina moderna è fatta di consenso informato, i cittadini vanno convinti. L’errore più grande è stato trasformare la pandemia in uno scontro morale, con l’esibizione poco sensata della superiorità di chi segue i dettami delle istituzioni e guarda dall’alto in basso persone che ha rinunciato a persuadere, considerandole dei bifolchi».

Chi ha gestito meglio di tutti il Covid?
«Il modello perfetto non c’è. Giusto però ricordare le azioni della Corea del Sud e in questa fase pure del Regno Unito. Il caso più interessante è quello della Comunità di Madrid, rimasta aperta per lunghi tratti per obiettivo politico, non per sottovalutazione del virus».

Governo Conte o governo Draghi?
«La differenza a favore del governo Draghi l’ha fatta la nomina del generale Figliuolo, che ha operato molto bene su una materia complicata come la logistica. Non sono invece venuti meno i guai della comunicazione dovuti alla trasformazione degli esperti di salute pubblica in animali da talk show. Temo che nel dopo pandemia avremo molta meno fiducia in medici e scienziati di quanta ne avevamo prima».

È migliorato il rapporto tra Stato e Regioni?
«Non mi pare. C’è stato uno reciproco scaricabarile sulle presunte colpe. In particolare, non si sono valorizzati gli esempi positivi, per esempio in diverse fasi di Veneto e Lazio, in modo da imparare un po’ tutti da chi ha lavorato bene».

Ci sarà un “effetto pandemia” anche sul voto per il Quirinale?
«Sicuramente sì. Soprattutto perché il candidato più accreditato è il premier. La drammatizzazione dopo il Cdm del 5 gennaio aiuta chi non vuole Draghi presidente ad avere un’ottima scusa per non votarlo. C’è poi da tenere conto anche dell’aspetto pratico dei positivi e delle difficoltà dell’accesso degli elettori “presidenziali” alla Camera».

da Il Piccolo, 18 gennaio 2022

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