Vi racconto perché mio padre Jimmy Lai è in cella a Hong Kong

L'istituto Bruno Leoni premia l'editore democratico. Intervista a Sebastien Lai

4 Novembre 2022

Corriere della Sera

Argomenti / Teoria e scienze sociali

C’è una foto che Sebastien Lai tiene molto a far vedere: è la copertina di Time dedicata nell’ottobre 2014 alla Rivoluzione degli ombrelli di Hong Kong. In primo piano un ragazzo con le braccia levate di fronte alla polizia, pochi passi indietro un signore in camicia bianca avvolto da una nuvola di lacrimogeni. «Quell’uomo è mio padre Jimmy Lai», dice Sebastien. Sì, il milionario Jimmy Lai, l’editore di Apple Daily, il quotidiano di opposizione costretto a chiudere dal governo di Hong Kong ispirato dalla Legge di sicurezza cinese imposta nel 2020. Lai, 74 anni, è in carcere dal dicembre 2020, condannato per aver partecipato e organizzato «manifestazioni non autorizzate», in particolare una veglia in ricordo della strage di Piazza Tienanmen.
«Ha finito di scontare quella pena lo scorso agosto, ma lo hanno tenuto in prigione in attesa del prossimo processo a dicembre, con l’accusa di collusione con Paesi stranieri e sedizione per quello che pubblicavano i suoi giornali democratici», spiega al Corriere Sebastien Lai. Per quei reati di opinione, la Legge di sicurezza cinese prevede il carcere a vita.

Perché Jimmy Lai, che aveva un passaporto britannico e i mezzi per vivere agiatamente all’estero, non ha lasciato Hong Kong quando era ancora in tempo?
«A mio padre piace definirsi un troublemaker, un piantagrane che è pronto ad affrontare le conseguenze di azioni che ritiene giuste. Lui è nato in Cina ed è emigrato a Hong Kong da ragazzo, crede che la città gli abbia dato tanto e non ha voluto tradirla. Ha detto che se fosse andato via avrebbe fatto perdere al movimento democratico parte della sua integrità. Non è una questione di faccia, ma personale, interiore».

Per capire il coraggio di un uomo che non fugge sapendo di rischiare l’ergastolo, Sebastien, 28 anni, racconta la storia della sua famiglia.
«Il nonno era un ricco proprietario terriero nel Guangdong, quando il Partito comunista prese il potere nel 1949. Mia nonna fu punita, costretta a inginocchiarsi sui vetri rotti, sottoposta a vessazioni. Papà, da ragazzo, fece lavori umili per sostenere la famiglia. Un giorno un viaggiatore a cui aveva portato i bagagli alla stazione gli diede un pezzo di cioccolato come mancia. Era la prima volta che la poteva mangiare e capì: “Ci dicono che viviamo in un paradiso dello sviluppo socialista ma mentono se questo cioccolato l’ho dovuto avere da uno straniero venuto da Hong Kong per affari”. Decise di fuggire nella colonia britannica per poter lavorare in libertà».

Jimmy Lai, arrivato nella City a 12 anni, colse l’opportunità di un sistema economico libero: partendo da operaio è riuscito a diventare un industriale della moda. Come è nata la sua passione per l’informazione e la stampa?
«La sua azienda si allargò in Cina, diventando molto popolare. Nel 1989, dopo la strage di Tienanmen, papà scrisse su una rivista un articolo sul primo ministro Li Peng, che aveva ordinato di sparare sugli studenti, gli diede del figlio di p…a. Cominciarono problemi commerciali per la sua azienda. Allora decise di dedicarsi solo alla stampa libera e fondò Apple Daily».

Molti oppositori sono espatriati, pensa che Hong Kong sia perduta?
«Ero a Taiwan per affari quando mio padre è stato arrestato, nessuno se lo aspettava. Da allora giro per il mondo per ricevere a suo nome i riconoscimenti internazionali che gli vengono accordati. Sono a Milano per la “Fiamma della libertà” che gli ha assegnato l’Istituto Bruno Leoni. Questo premio aiuta a tenere viva l’attenzione su Hong Kong. È una maratona, non si deve mollare. Hong Kong è sempre la mia città anche se non ci posso tornare. Ha perso le sue caratteristiche migliori per gli hongkonghesi, resta vivibile per gli stranieri, ma non è più la stessa. Ecco, papà ha scelto di restare nonostante il suo passaporto inglese perché lui si è battuto proprio per difendere quelle libertà che Londra aveva concordato con Pechino per restituire il territorio».

La storia di suo padre meriterebbe di essere raccontata in un libro. Lo farà?
«Spero che possa farlo lui. È ancora forte».

dal Corriere della Sera, 4 novembre 2022

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