Moderare i social? Una volta era censura


Da noi la società del controllo spesso non è temuta, ma auspicata


28 Agosto 2024

Il Giornale

Carlo Lottieri

Direttore del dipartimento di Teoria politica

Argomenti / Diritto e Regolamentazione

Sono destinate ad avere conseguenze le ultime dichiarazioni di Mark Zuckerberg, che stavolta ha denunciato senza mezzi termini come la sua azienda abbia dovuto subire, negli anni dell’amministrazione guidata da Joe Biden, numerose pressioni al fine di manipolare il dibattito pubblico in Facebook: non solo in tema di Covid, ma anche in merito allo scandalo riguardante Hunter Biden e reso noto prima delle scorse elezioni presidenziali dal New York Post. Il pretesto utilizzato per bloccare la circolazione di quelle notizie era che si trattasse di disinformazione di matrice russa (questa la versione dell’Fbi), ma ora il fondatore di Facebook afferma come ciò fosse insensato e quindi quella censura illegittima.

Sebbene l’uscita sia tardiva e non aggiunga nulla a quanto non si sapesse già, la presa di posizione di Zuckerberg sorprende, dal momento che stavolta egli s’è schierato in maniera netta, aggiungendo che in futuro simili interferenze nel confronto pubblico non dovranno più essere possibili.

Vien da pensare che non tutti gli uomini d’affari statunitensi siano così persuasi che Kamala Harris vincerà a mani basse le presidenziali di novembre. Se in questi ultimi decenni il business arcobaleno e le tribù della politica democratica (i Clinton, gli Osama e i Biden) si sono mossi all’unisono, ora forse qualcosa sta mutando. Ne deriva che la stessa posizione assunta da Elon Musk nel corso degli ultimi mesi non risulta più del tutto eccentrica e isolata.

Oltre a questo, si può immaginare che Zuckerberg abbia deciso di mostrare le carte (anche se questo significava ammettere le sue stesse personali responsabilità) al fine di creare un precedente, così da rendere più difficili – quale che sia il prossimo inquilino della Casa Bianca – sconfinamenti come quelli a cui s’è assistito negli ultimi quattro anni. Nel mondo contemporaneo non è mai semplice capire, nel rapporto tra grandi imprese e politica, chi sia il burattino e chi il burattinaio, ma è evidente che ognuno ha interesse a proteggere i propri spazi e garantirsi autonomia d’azione.

Alla luce di questa scandalosa vicenda è anche chiaro a molti, soprattutto in America, che la pretesa di trattare i social network come giornali (dando quindi alle aziende il diritto e il dovere di controllarne i contenuti) conduca verso logiche autoritarie. Come ha dichiarato nelle scorse ore lo stesso Musk (ora proprietario di X), «moderazione è la parola che la propaganda usa per indicare la censura».

È dunque una buona notizia sapere che il proprietario di Facebook non vuole diventare la voce dei padroni (della politica). Purtroppo, però, queste faccende sono molto americane, dato che oltre Atlantico la libertà di espressione rimane una questione assai seria: ben protetta dal primo emendamento. In Europa la situazione è assai diversa e, non a caso, in Francia (non in Ungheria e neppure in Russia) hanno arrestato Pavel Durov, in quanto non avrebbe preventivamente impedito che alcuni criminali usassero il suo canale di messaggistica per attività disoneste.

Nel Vecchio Continente, insomma, si obbligano i titolari degli spazi virtuali a «moderare» i dibattiti, leggere le comunicazioni private e combattere le fake news. Da noi la società del controllo spesso non è temuta, ma auspicata. Le conseguenze rischiano di essere tremende.

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