Se morire di lavoro è una scelta obbligata

Sono un milione le "morti bianche" ogni anno in Asia. Colpa della mancanza di libertà e di benessere

20 Novembre 2022

La Provincia

Carlo Lottieri

Direttore del dipartimento di Teoria politica

Argomenti / Economia e Mercato

Sulla stampa internazionale e nel dibattito pubblico la preparazione di tutto quanto serve ai mondiali di calcio di Doha, soprattutto sul piano delle infrastrutture, è stata più volte correlata a una lunga fila di lutti. In effetti, la costruzione degli stadi e degli altri impianti ha causato un alto numero di incidenti (non di rado mortali), spesso legati a condizioni di lavoro irrispettose dei più elementari criteri di sicurezza. Secondo quanto riportato da un quotidiano del Regno Unito, “The Guardian”, da quando i mondiali sono stati assegnati al Qatar (e questo avveniva nel 2010) ben 6 mila persone hanno perso la vita in uno dei cantieri che sono stati allestiti. La realizzazione di sette nuovi stadi, di un aeroporto, di innumerevoli alberghi e strade ha comportato un costo umano enorme, su cui molti commentatori hanno richiamato l’attenzione. Ogni incidente mortale sul lavoro è senza dubbio una tragedia e bisognerebbe fare tutto il possibile per evitarlo. Al tempo stesso, però, è necessario saper guardare queste vicende fuori da ogni deformazione ideologica e da ogni ipoteca demagogica: specialmente perché non è possibile ignorare quale è la situazione di larga parte del globo, dove ancora si combatte per uscire dalla fame. 

Condizioni disperate 
Chi ha una conoscenza non troppo superficiale dell’umanità del nostro tempo sa bene che la fondamentale ragione di questo immane disastro è molto semplicemente la condizione economica disperata in cui versano tanti esseri umani. In fondo, non era così diversa la situazione di quegli emigranti italiani che dopo la fine della Seconda guerra mondiale andavano in Belgio e in troppi casi perdevano la vita in miniera. Di conseguenza, se pure in alcune circostanze (come sempre) è possibile ravvisare specifiche responsabilità, il quadro d’assieme che è all’origine di quei decessi lo si comprende soltanto se si pone mente al fatto che vi sono ancora interi popoli in condizioni di estrema povertà. Per ogni lavoratore l’insicurezza sul luogo di lavoro è un costo, insieme alle ore che ogni settimana egli deve dedicare all’azienda che l’ha assunto. Se dunque ancora molti accettano simili impieghi tanto pericolosi è perché non sono in grado di trovare alternative migliori: esattamente come, in assenza di meglio, si accetta un basso salario. E questo è confermato dal fatto indiscutibile che le vicende di Doha hanno soltanto evidenziato un quadro generale tutt’altro che rassicurante. Le condizioni lavorative disumane e rischiose in cui numerosi disperati a Doha si sono trovati a operare sono dunque figlie del fatto che per molti non sono disponibili alternative migliori. La prima ragione del disastro, di conseguenza, è da trovare nel sottosviluppo. Quali siano le ragioni dell’arretratezza economica di un territorio, evidentemente, non è mai facile da sapere e l’intera storia della teoria economica è essenzialmente un tentativo di rispondere a tale domanda. A ogni modo è chiaro che in troppe aree abbiamo il persistere di sistemi economico-istituzionali che ostacolano la creatività imprenditoriale e depredano i gruppi politicamente più deboli, premiano le logiche parassitarie e penalizzano chi lavora, aggravando un quadro già difficile. 

La condanna morale non basta 
Possiamo allora esprimere ogni tipo di condanna morale su quei cantieri a Doha e in altre parti del mondo in cui la vita è messa a rischio, ma alla fine limitarsi a questo serve soltanto a farci considerare più buoni e sensibili. Impedendo quei lavori, d’altro canto, cosa sarebbe successo? Non sappiamo se molte delle nuove costruzioni avrebbero mai visto la luce (dato che il loro costo sarebbe cresciuto) e soprattutto non sappiamo in quali cantieri (in Pakistan, India, Nepal o altrove) avrebbero mai operato quanti non avrebbero potuto guadagnarsi di che vivere in Qatar. Nulla ci autorizza a pensare che le condizioni di quelle persone e di quelle famiglie sarebbero state migliori: così come se nel secolo scorso si fosse impedito ai lavoratori italiani di andare nelle miniere belghe. È anche fondato ipotizzare che in assenza dei mondiali di calcio in Qatar quei lavoratori avrebbero trovato condizioni perfino peggiori, meno retribuite e tali da mettere ancor più in pericolo la loro salute. (D’altra parte, se in questi anni quegli operai avessero avuto altrove proposte migliori non sarebbero mai andati a Doha). Al riguardo è bene avere presente che ogni anno in Asia muoiono almeno un milione di persone sui luoghi di lavoro (i dati vengono da un’agenzia britannica, Arinite). Questa cifra spaventosa ci aiuta a capire come il sentimentalismo possa impressionare le “anime belle” (nell’accezione in cui Hegel usò questo termine) che non vogliono confrontarsi con la realtà. Non serve, però, a migliorare la situazione e non aiuta davvero chi soffre. I poveri lavoratori del Nepal e del Bhutan sono esattamente come noi: vanno in cerca delle opportunità che reputano interessanti. D’altro canto, in varie circostanze chiunque può scegliere di correre determinati rischi in vista di prospettive che gli appaiono da sfruttare. È vero che oggi spesso possiamo evitare i lavori più pericolosi e peggio retribuiti, ma certo non era così al tempo dei nostri nonni e bisnonni, che anche con le loro scelte ci hanno portato a far crescere la società. E allora bisogna fare in modo che la situazione muti pure in altre realtà geografiche. 

Retorica e fatti 

Una cosa è la retorica, in fondo, e altra cosa e molto diversa sono i fatti: a partire dalle sfide effettive che ogni gruppo umano in preda alla povertà sceglie di affrontare per costruire, talvolta anche rischiando la vita, un mondo migliore per sé e i propri figli. Ed è interessante come la dimensione inter-generazionale, che è cruciale nel vissuto dei lavoratori che si trasferiscono a centinaia di chilometri da casa, venga quasi ignorata nelle analisi di taglio occidentale. Essa è però cruciale per i protagonisti di questi drammi, che quasi sempre vivono lontano dai figlie dalla famiglia. Evitare la lacrimuccia a buon mercato del sentimentalismo aiuta a capire meglio la realtà e di conseguenza può pure farci muovere nella giusta direzione. Iniziando a comprendere, ad esempio, che il declino economico che stiamo conoscendo sta già spingendo anche molti di noi ad accettare lavori più usuranti, peggio retribuiti e perfino in grado di minare la salute. E non sarà certo qualche modifica della legislazione sul diritto del lavoro che potrà invertire tale tendenza, perché le cose cambieranno soltanto quando più libertà favorirà più benessere. 

da La Provincia, 19 novembre 2022

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