Il vice-primo ministro russo, Alexander Novak, per la prima volta apre alla ripresa dei flussi di gas all’Europa. In un’intervista alla Tass spiega che “il mercato europeo rimane rilevante poiché persistono carenze di gas e abbiamo tutte le opportunità per riprendere le forniture… Per esempio, il gasdotto Yamal, interrotto per motivi politici, rimane inutilizzato”. I transiti attraverso Yamal – che porta metano dalla Siberia in Germania attraverso Bielorussia e Polonia – si sono fermati a marzo, quando Varsavia si era rifiutata di aderire al diktat di Mosca sul pagamento in rubli. Contemporaneamente, l’ex presidente (e ora numero due del Consiglio di sicurezza russo), Dmitry Medvedev, ha affidato a Twitter la sua previsione secondo cui nel 2023 il gas raggiungerà il prezzo di 5 dollari al metro cubo (circa 500 euro/mwh). Una prospettiva, questa, che al momento sembra del tutto irrealistica.
Questa divergenza fa capire che il confronto a Mosca è intenso. Ma soprattutto mostra che almeno una parte della classe dirigente russa pare accorgersi che la scommessa iniziale – lasciare l’Europa al freddo – può essere perdente. Tra il 12 e il 18 dicembre, le importazioni Ue di gas dalla Russia sono state 686 milioni di metri cubi, circa un quarto rispetto al 2021 e un quinto in confronto a un anno normale. Com’è possibile che l’Europa abbia tenuto botta? Ci sono tre cause principali. Quella di gran lunga più importante è la mitezza delle temperature che hanno consentito di abbattere i consumi per il riscaldamento e dunque di proteggere gli stoccaggi (in Europa pieni all’83 per cento, contro una media nello stesso periodo del 72 per cento).
A questo risultato hanno contribuito anche il calo dei consumi industriali e la massimizzazione dell’impiego di fonti alternative, come il carbone, voluto dal governo Draghi e confermato da Giorgia Meloni. E attuato anche da altri stati europei. Secondariamente, tutti i paesi Ue si sono impegnati in un’attiva politica di diversificazione, finalizzata a sganciarci dalla Russia. A tal fine sono stati conclusi contratti di lungo termine con altri produttori. Anche il programma di adeguamento infrastrutturale fa parte di questo piano: e mette un poco di tristezza osservare che, proprio mentre noi festeggiavamo perché il Tar ha respinto un pretestuoso ricorso del comune di Piombino, la Germania inaugurava il primo rigassificatore galleggiante a Wilhelmshaven. E altri due entreranno in esercizio prima che la prima nave metaniera possa attraccare a Piombino (si veda l’articolo di Luciano Capone sul Foglio di ieri). Non è un caso se, dopo i record di agosto dovuti all’esigenza di riempire gli stoccaggi a qualunque costo, le quotazioni del gas siano gradualmente scese sotto i 90 euro/mwh. Infine, evidentemente, le sanzioni stanno mordendo e Mosca ha bisogno dei soldi europei almeno quanto l’Europa necessiti del gas russo. Non è un caso se Novak, parlando della possibilità di riaprire Yamal, ha sottolineato che la chiusura è stata parzialmente compensata dall’incremento delle spedizioni via Gnl (“negli 11 mesi del 2022 sono aumentati a 19,4 miliardi di metri cubi, entro la fine dell’anno prevediamo 21 miliardi di metri cubi”).
Tuttavia, è ancora presto per cantare vittoria. Una parte del risultato dipende dall’efficacia della politica di diversificazione e dalla celerità con cui saremo capaci di realizzare le necessarie infrastrutture di rigassificazione e promuovere le rinnovabili. Ma, nell’immediato, contano soprattutto circostanze fortuite, cioè l’andamento del clima: se l’inverno dovesse irrigidirsi lo scenario potrebbe cambiare. In ogni caso il riempimento degli stoccaggi europei per la stagione fredda 2023/24 dipende anche dalla disponibilità di gas russo. Come diceva Yogi Berra, non è finita finché non è finita – e non sarà finita prima della primavera 2024, nella migliore delle ipotesi.
da Il Foglio, 28 dicembre 2022