All’interno della collana sui “classici contemporanei” da poco inaugurata dall’istituto Bruno Leoni è uscito di recente il volume di Roberta Modugno, associata di Storia delle dottrine politiche all’università di Roma Tre, dedicato all’economista e filosofo politico americano, di origine ebraica e polacca, Murray Rothbard (1926-1995). Fin da giovane, Rothbard fu profondamente critico del comunismo e del New Deal rooseveltiano. In generale, egli riteneva tanto l’interventismo interno, sul piano economico, quanto l’interventismo militare, in termini di politica estera, esiziali minacce per la libertà individuale.
Cresciuto nel solco della cosiddetta “Old Right”, e di pensatori quali Albert J. Nock, Henry L. Mencken e Frank Chodorov, Rothbard incontrò poi il pensiero della Scuola Austriaca di economia, e in particolare di Ludwig von Mises, rimanendone profondamente segnato. Come scrive l’autrice, Mises fece da ponte tra la passione rothbardiana per un liberalismo classico autentico e una teoria di libero mercato puro. Rothbard si prefisse di unire, così, la tradizione del diritto naturale di stampo aristotelico-tomista e John Locke con la teoria austriaca dei valori soggettivi.
Per Rothbard, lo stato Leviatano impersona il nemico mortale della libertà individuale, giacché fondato sul principio di coercizione, invece assente nel mercato, incardinato sul principio di cooperazione sociale volontaria. Riprendendo le analisi di Franz Oppenheimer, infatti, Rothbard riteneva che esistono due modi antitetici per procurarsi i mezzi di sussistenza. Il primo, che caratterizza il mercato, è basato sulla produzione e lo scambio volontario, e utilizza il “mezzo economico”, il secondo, al contrario, impiega l’esproprio violento della proprietà altrui, ovvero il “mezzo politico”. Secondo Rothbard, inoltre, è solo attraverso quest’ultimo che possono crearsi situazioni di monopolio, attraverso la collusione tra “Big Government” e “Big Business”. Basato sul principio di concorrenza, il mercato non consente infatti a nessun operatore economico di chiudere le porte girevoli poste alla sua entrata, le quali sono gestite, in fondo, dai gusti dei consumatori.
Il libertarismo descrive con realismo il dispositivo statale, anche se alcuni critici ne hanno enfatizzato l’ingenuità circa il non considerare come il potere non sia mai del tutto eliminabile, nemmeno mediante il mercato: “Il libertario – scrive Rothbard in Per una nuova libertà (1973) – è consapevole che in tutta la storia e fino ai giorni nostri c’è stato e c’è un solo aggressore centrale, dominante e potente (…): lo Stato. (…) Il libertario, in sintesi, insiste sull’applicazione della legge morale generale a tutti, senza eccezioni. Ma se guardiamo allo Stato in sé, vediamo che ad esso è consentito (…) di commettere tutti quegli atti che anche i non libertari ritengono crimini riprovevoli”.
da Il Foglio, 15 dicembre 2022