Continua il braccio di ferro tra tassisti e governo perché l’esecutivo «non è stato in grado di fornire alcun tipo di risposta». Questa generica dichiarazione nasconde un significato banale ma al tempo stesso eloquente.
Se Uber e il noleggio con conducente riscuotono successo, vuole dire che rispondono a un’esigenza rispetto alla quale il sistema dei taxi non basta più. Uber o i servizi complementari ai taxi sono un’opportunità per tutti, ma un problema per una categoria. E la risposta che la categoria vorrebbe dal governo Gentiloni, dopo l’apertura del tavolo coi sindacati dei tassisti da parte di Graziano Delrio, ministro dei Trasporti, è protezione per sé e ostracismo per i concorrenti.
Nel gioco delle parti è comprensibile nella sostanza, anche se non nei modi, che i tassisti chiedano al governo di mettere al bando Uber e così continuare a operare in maniera protetta. Ciò che però non è giustificabile è l’atteggiamento della politica. Continuare a trattare il trasporto non di linea come un servizio pubblico limitato alle auto bianche è una scontata richiesta dei tassisti, ma una ingiustificabile posizione della politica.
Le occasioni per mettere mano al settore si sono sprecate, sia in Parlamento sia nel governo. La classe politica sta trasformando la vicenda dei taxi, come di tutti i settori che si trovano sotto una forte sfida tecnologica, da occasione di crescita e sviluppo per il benessere dei cittadini a ostinato diniego di guardare avanti. Anche da questi episodi si nota l’inadeguatezza della politica a fare ciò che abbiamo sempre pensato faccia: avere cura dell’interesse generale, superando gli egoismi settoriali.
Da L’Economia del Corriere della Sera, 20 marzo 2017