Il Governo ha celebrato come un grande successo l’investimento di 81 milioni di euro di Invitalia nel capitale di Reithera per finanziare lo sviluppo del vaccino autarchico. Secondo le stime più ottimistiche, il nuovo preparato dovrebbe essere disponibile dopo l’estate, ma solo se i trial clinici in corso andranno a buon fine.
Ma siamo sicuri che si tratti di un utilizzo assennato del denaro pubblico e, soprattutto, che risponda alle reali priorità del paese? Proprio ora che la situazione generale sembra migliorare – come certifica il passaggio in zona giallo di quasi tutte le regioni – ogni sforzo dovrebbe essere diretto ad accelerare il ritorno alla normalità. Questo implica, anzitutto, garantire il buon funzionamento della campagna vaccinale. Dalla prossima settimana il numero di dosi a disposizione dovrebbe incrementare rapidamente: siamo sicuri che l’organizzazione della loro distribuzione, prima alle categorie a rischio, e poi a tutti gli altri, sia in grado di tenere il passo? L’Europa già si sta muovendo in ritardo rispetto agli Stati Uniti e alla Gran Bretagna. Sarebbe davvero assurdo introdurre ulteriori ritardi.
D’altronde, avere un vaccino in più tra qualche mese è molto meno importante che garantirsi tutte le fiale necessarie il prima possibile. Attualmente sono autorizzati dall’Ema e dall’Aifa già tre preparati (Pfizer/Biontech, Moderna e AstraZeneca) e altri sono in dirittura d’arrivo (Johnson & Johnson e Novavax). Altri sono in via di approvazione (per esempio i vaccini russi e cinesi, peraltro già in uso nei paesi d’origine) e altri ancora ne arriveranno in tempi non lunghi. Proprio questa constatazione ha spinto alcuni big, come Sanofi, ad abbandonare le proprie ricerche, per dedicarsi alla produzione su licenza del vaccino Pfizer. Quale vantaggio avremo se, alla fine dell’anno, quando (si spera) una porzione significativa della popolazione avrà già ottenuto l’inoculazione, l’Aifa annuncerà l’approvazione dell’ennesimo vaccino?
Non si tratta neppure di scagliarsi contro l’intervento pubblico, ma di enfatizzare che quello in oggetto è un tipo di intervento radicalmente sbagliato. La diffusione del vaccino è il tassello fondamentale della strategia di salute pubblica, e quindi è comprensibile e doveroso che lo Stato giochi la sua partita: ma l’interesse nazionale non è un vaccino tricolore, è un vaccino il prima possibile, qualunque bandiera esso batta. Gli ottantuno milioni di Invitalia sarebbero stati meglio spesi, per esempio, per finanziare la creazione di nuova capacità produttiva per i vaccini esistenti. Di questo dovrebbe occuparsi il Commissario all’emergenza, Domenico Arcuri. Non di giocare al piccolo imprenditore coi soldi pubblici, approfittando della sua singolare posizione di compratore (in quanto commissario) e venditore (in quanto azionista di Reithera tramite Invitalia) dell’inesistente vaccino tricolore.
4 febbraio 2021