Cinque anni fa, il 17 febbraio 2017, all’età di ottantaquattro anni, si spegneva a Washington uno dei più influenti, ma anche più originali e controversi, pensatori cattolici del secondo dopoguerra: Michael Novak. Alla sua figura è dedicata ora un’agile monografia di Flavio Felice, che inaugura una collana di Classici contemporanei edita dall’Istituto Bruno Leoni (Michael Novak, pagine 165, euro 14).
I pilastri attorno a cui ruota il pensiero di Novak sono essenzialmente due: l’idea di una superiorità morale, e non solo economica, del capitalismo sul socialismo; la convergenza dei suoi principi con quelli che reggono la visione cristiana e cattolica del mondo. Due idee poco intuitive e soprattutto poco popolari, ma che il teologo statunitense di origine slovacca (che aveva fra l’altro studiato da giovane alla Gregoriana di Roma) si preoccupa di illustrare con dovizia di argomenti. Che il capitalismo sia economicamente superiore ad ogni altro sistema finora conosciuto, è la storia a dimostrarcelo: mai come nel tempo del suo trionfo, cioè in epoca moderna, benessere ed elevata qualità della vita si sono diffusi in vasti strati della società occidentale.
A fronte di questa evidenza però il capitalismo ha avuto pessimi cantori, che hanno insistito non sulle nobili idealità morali a cui esso si ispira ma sugli elementi di utilitarismo, materialismo e individualismo che si crede in esso predominanti. All’attacco subito dagli intellettuali soprattutto di sinistra, ma anche di destra, si sono accodati teologi e uomini di Chiesa: nel migliore dei casi, proponendo un’improbabile “terza via” fra capitalismo e socialismo; nel peggiore, condannando in toto il sistema di mercato e proponendo l’avvento di un sistema socialista (molto dura fu la battaglia ingaggiata da Novak contro la cosiddetta “teologia della liberazione” che aveva in quegli anni ampio successo soprattutto in America Latina).
Eppure, a ben vedere, i valori del capitalismo democratico sono in buona parte quelli dell’antropologia cristiana: esso mette al centro la persona di cui esalta la creatività, l’impegno e la responsabilità, ma ne mette in evidenza anche l’aspetto comunitario, cioè l’interrelazione che essa ha con gli altri, i sentimenti di simpatia e di amore che la muovono verso il prossimo; un certo realismo, che lo porta a rifugiarsi non nei cieli dell’utopia ma ad aderire al mondo reale, segnato dal peccato, con le sue imperfezioni e la sua perfettibilità; il privilegiare la carità, sia puntando prima di tutto alla creazione di ricchezza (che è per chi la crea ma anche necessariamente per gli altri) sia insistendo sulle attività sociali finalizzate non ad una irrealistica scomparsa delle diseguaglianze fra gli uomini ma ad una loro messa a frutto per il bene comune e per l’eliminazione delle sacche di povertà (da qui l’imprevedibile apprezzamento di Novak di papa Francesco).
Non c’è dubbio che la fortuna di Novak, come documenta l’ultimo capitolo del libro, sia legata a un particolare contesto storico-sociale, quello della caduta del comunismo e dell’affermarsi di una globalizzazione liberale che sembrava foriera solo di aspetti positivi. La realtà ha provveduto a infrangere quei sogni e un certo meccanicismo sociale liberista che era sotteso ad essi. In verità, l’adesione allo “spirito del tempo” fu sempre temperato in Novak da un certo realismo (e anche ottimismo) cattolico che lo teneva lontano da quegli aspetti tragici che sono forse più propri del cristianesimo anglosassone di impronta protestante.
da Libero, 17 febbraio 2022