6 Dicembre 2021
L'Economia – Corriere della Sera
Alberto Mingardi
Direttore Generale
Argomenti / Economia e Mercato Teoria e scienze sociali
C’è stato un tempo nel quale l’indipendenza delle banche centrali sembrava sufficiente a tenerle al riparo dall’influenza politica. Ma l’indipendenza è un requisito formale, mentre negli ultimi anni è la stessa attività degli istituti di emissione a essere cambiata. Le politiche monetarie non convenzionali hanno reso Fed e Bce ancora più «centrali» nelle rispettive economie. L’appetito vien mangiando: per questo i temi principali all’ordine del giorno, cioè valute digitali e se e come le banche centrali debbano occuparsi direttamente dei rischi finanziari legati al cambiamento climatico, disegnano una traiettoria di ulteriore crescita del potere di queste istituzioni. Ma come può l’autonomia dalla politica mantenersi, se si passa da un obiettivo chiaro e preciso a un potere senza vincoli? E’ destinata a essere un ricordo del passato?
La settimana scorsa il presidente americano Biden ha deciso di confermare Jerome Powell a capo della Federal Reserve per i prossimi quattro anni. Ha rinunciato a mettere un Dem al suo posto, anche se ha altre tre nomine da fare nel Board. Alcuni opinion maker di area democratica hanno biasimato la scelta di Biden perché, confermando Powell, in qualche modo egli ha finito per intestarsi l’inflazione. Anche a ottobre, l’indice dei prezzi al consumo negli Stati Uniti ha segnalato un aumento su base annua del 6,2%: la crescita più elevata, su dodici mesi, dall’aprile 1990.
Ogni volta che l’inflazione riparte si tenta sempre di ricondurla a fattori contingenti, si ragiona sul fatto che essa sia temporanea e legata esclusivamente all’ascesa dei prezzi di alcune categorie di beni o servizi. Ma si è poi costretti a fare i conti con l’antico monito di Milton Friedman: l’inflazione è sempre e ovunque un fenomeno monetario. E’ la banca centrale che accelera, è la banca centrale che deve frenare.
I sostenitori della conferma di Powell hanno sottolineato come egli si sia «speso in modo senza precedenti per il pieno impiego», che significa che ha trascurato l’altro compito della Fed, cioè la stabilità dei prezzi. In ballottaggio con lui per la Presidenza c’era Lael Brainard, nel Board della Fed dal 2014, considerata ancor più una «colomba». Brainard ha un passato nella consulenza (McKinsey & Company), ha insegnato alla MIT Sloan School of Management dal 1990 al 1996 e, dopo aver collaborato con l’amministrazione Clinton, ha lavorato presso la Brookings Institution dal 2001 al 2009. Sottosegretario al Tesoro per gli affari internazionali con Obama, è entrata alla Fed nel 2014. Il suo background è dunque lontano dalle questioni di teoria monetaria, come del resto è pure il caso di Powell: giurista, avvocato d’affari, poi investment banker. Né l’uno né l’altra sono tetragoni professionisti della moneta, come erano Paul Volcker e, più recentemente, Ben Bernanke.
Le banche centrali sono state rese indipendenti dalla politica proprio perché l’idea era che tale autonomia fosse necessaria per consentire loro di concentrarsi sulla stabilità dei prezzi. Ma oggi la stabilità dei prezzi sembra essere l’ultimo dei loro obiettivi. Né Powell né la Brainard sono voci credibili, sul tema.
Una delle nomine più controverse della Fed in epoca Biden è quella di Saule Omarova, giurista alla Cornell Law School, a comptroller of the currency, capo della vigilanza bancaria. Lasciate perdere il dettaglio folcloristico che Omarova, nata in Kazakistan, si sia laureata a Mosca nel1989 con una tesi sulla «teoria della rivoluzione nel Capitale di Marx». In un articolo sulla Vandebilt Law Review, Omarova propone non solo di consentire ai cittadini di avere conti di deposito presso la banca centrale ma di far sì che essi «rimpiazzino del tutto i depositi bancari privati». L’idea è che tutta la domanda di depositi bancari finisca nel bilancio della banca centrale. Questo sarebbe, per Omarova, un modo per «democratizzare il credito». Democratizzare in questo caso significherebbe concedere alla Banca centrale il monopolio dei depositi, che a sua volta porterebbe con sé un monopolio della concessione dei prestiti.
Va da sé che così l’istituto di emissione potrebbe «incanalare una parte significativa dei fondi … in acquisti su larga scala di titoli emessi da vari enti pubblici per scopi di finanziamento di progetti di infrastrutture pubbliche critiche». Permetterebbe anche alla Fed di fare helicopter drop di quattrini direttamente nei conti delle persone presso la Fed. E questo non soltanto durante una crisi o per ravvivare l’economia in una fase di stanca del ciclo economico ma, sostanzialmente, sempre, ogni qualvolta desiderasse farlo o fosse spinta a farlo dai governanti del momento. Sembra fantascienza ma è una possibilità più concreta di quanto appaia, con l’emissione di valuta digitale che significa, di fatto, borsellini (wallet) sul tipo di quelli delle App FinTech ma direttamente sul conto della banca centrale. La Bce ne discute come di qualcosa che si somma alle offerte private, la Omarova sogna che vi si sostituisca.
Speculazioni intellettuali? Per ora sì, ma che estremizzano quelle che oggi sono le priorità dei banchieri centrali: dollaro ed euro digitale, maggiore capacità di “guidare” gli investimenti in direzione “sostenibile” con tutti gli strumenti a loro disposizione. Sempre che la necessità di governare l’inflazione nei prossimi mesi non riporti i banchieri centrali a tornare, per quanto controvoglia, a fare il loro mestiere.
Da L’Economia – Corriere della Sera, 6 dicembre 2021