Beh… è proprio il caso di dire: finalmente! Dimentichiamo i colori. I gialli, i verdi, i rossi, i blu. Finalmente nasce un governo che – almeno sul fronte della politica economica – ha una impronta culturale inequivoca, netta, senza sbavature, che non è stata nascosta come spesso accaduto in passato dietro il dito di un ministro dell’Economia tecnico.
No, questa volta il ministro dell’Economia è, finalmente, una figura politica in senso stretto. Uno stimato ed apprezzato parlamentare europeo ma anche un convinto keynesiano. E keynesiano senza se e senza ma è il nuovo ministro del Mezzogiorno convinto che l’Italia degli ultimi anni sia stata teatro di una deriva neoliberista. E keynesiano è il ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, attento allo sviluppo sostenibile, alla lotta alle disuguaglianze e acerrimo nemico del prodotto interno lordo (e delle merendine).
Insomma, c’è solo da augurarsi che questo governo sia effettivamente un governo di legislatura. I suoi successi ed i suoi insuccessi, per una volta, non saranno imputabili al liberismo naturalmente “selvaggio”. Ma avranno un riferimento culturale inequivocabile.
Per quel che è dato vedere, l’impostazione keynesiana dovrebbe conoscere una sua prima – moderata, pare – applicazione nella prossima legge di bilancio. Per capire la quale è opportuno usare una immagine.
Accade a volte nelle imprese in difficoltà finanziaria che si assuma, solitamente con un lauto stipendio e per la posizione di direttore finanziario, il responsabile dei crediti della banca con cui l’impresa intrattiene rapporti. Non lo si fa perché si immagina che abbia la capacità di affrontare i nodi strutturali che solitamente si nascondono dietro le tensioni finanziarie ma perché si conta sulla sua rete di relazioni per garantire all’impresa un flusso costante se non crescente di credito anche in una situazione in cui non necessariamente lo meriterebbe.
Ecco, il nuovo governo nasce intorno a questa – beninteso, legittima – scelta strategica. La domanda è: ci sarà una opposizione in grado di suggerire che per sopire le tensioni finanziarie è prima necessario tagliare i costi dove necessario, rivedere forse le strategie commerciali, riconsiderare ogni aspetto della organizzazione aziendale e, con gradualità, ridurre il debito? O saremo condannati anche nei prossimi anni ad assistere allo spettacolo inconcludente di una opposizione che continuerà a suonare il disco rotto della minaccia del default (salvo poi ritornare al suo posto con la coda fra le gambe quando il direttore di filiale fa la voce grossa)?
10 settembre 2019