Da questa settimana, sarà possibile inoltrare la domanda per il reddito di cittadinanza, mentre il decreto attende ancora la conversione alla Camera, dove è stato appena assegnato. La misura parte con molte incertezze applicative, dovute da un lato alla fretta di renderla operativa e dall’altro alle modifiche introdotte in Senato, senza contare quelle che, in teoria, potrebbero aggiungersi alla Camera. Alcuni punti, però, sono chiari, anche se non immediatamente visibili.
In particolare, l’introduzione di un tetto minimo di offerta salariale, pari a 858 euro al di sotto del quale il beneficiario può rifiutare l’offerta di lavoro non è soltanto un modo di annacquare le condizioni per percepire il reddito.
In maniera più incisiva, il limite tocca di fatto la regolazione dei rapporti di lavoro. Il decreto, come modificato dal Senato, prevede infatti che nel decreto legislativo sui servizi per il lavoro e le politiche attive, approvato nel 2015 in attuazione del Jobs Act, sia introdotto, per chi usufruisce del reddito di cittadinanza, un criterio di congruità delle offerte di lavoro consistente nell’essere superiore di almeno il 10% rispetto al reddito massimo fruibile da un solo individuo. Fatto un rapido conto, vuol dire che un’offerta di lavoro è congrua se superiore a 858 euro.
Il criterio si aggiunge a quello già previsto, nello stesso decreto, per continuare a percepire l’indennità di disoccupazione, per la quale è necessario che l’offerta di lavoro rifiutata sia inferiore o uguale di almeno il 20% dell’indennità.
I due criteri di congruità hanno un punto in comune e uno di distinzione. Di fatto, entrambi introducono un parametro legislativo – e non più sindacale – di riferimento dello stipendio minimo: minimo diventa infatti quello stipendio incongruo, inferiore di più del 20% alla Naspi o di più del 10% al reddito di cittadinanza.
Tuttavia, ed è questa la differenza, il criterio di congruità per il reddito di cittadinanza avrà conseguenze più estese rispetto a quello per la Naspi. Entrambi valgono infatti solo ai fini della percezione delle due misure, nel senso che la congruità sarà valutata unicamente per verificare se chi ha la Naspi o il reddito di cittadinanza ha l’obbligo di accettare un’offerta di lavoro che interrompa l’erogazione del sussidio. Ma la diversa natura del reddito di cittadinanza rispetto alla Naspi farà sì che il criterio di congruità ridonderà, nei suoi effetti, rispetto a quello già previsto per l’indennità di disoccupazione. Il reddito di cittadinanza, diversamente dalla Naspi, è infatti una misura fissa, universale, ottenibile per chiunque si trovi in situazioni di difficoltà economiche, cosicché il valore della congruità si trasforma in un tetto minimo al di sotto del quale per il beneficiario del reddito non conviene trovare un lavoro, e per le imprese diventa difficile trovare un lavoratore, davanti all’alternativa di guadagno del reddito di Stato.
Aver stabilito un criterio di congruità economica delle offerte di lavoro vuol dire aver introdotto non solo il reddito minimo, ma anche il salario minimo. Una novità che è senz’altro coerente con le proposte del M5S, tanto che Di Maio proprio ieri ha lanciato come prima offerta di accordo e sfida al neo segretario del PD Zingaretti la condivisione della proposta di introduzione del salario minimo. Ma una novità che costituisce un problema per un mercato del lavoro rigido come quello italiano.
Nelle dinamiche di lavoro, congruo è il compenso ritenuto accettabile dalle parti, non per una formula matematica, ma per un’occasione di lavoro che è meglio cogliere piuttosto che no. I parametri forniti dai contratti collettivi rientrano in questa logica, mantenendo la valutazione della equità del compenso all’interno di una logica negoziale. Introdurre dalla finestra un criterio di congruità che consente di rifiutare le offerte di lavoro e mantenere così il reddito minimo, vuol dire aver aggiunto al rischio di atteggiamenti parassitari la certezza di un ulteriore vincolo a chi cerca un’occupazione, prima che a chi la offre.
5 marzo 2019