L'oracolo delle tasse

Intervista di Raffaele Marmo ad Alberto Mingardi

28 Novembre 2017

Quotidiano Nazionale

Alberto Mingardi

Direttore Generale

Argomenti / Teoria e scienze sociali

«Ci è capitato d’incontrare di persona alcuni leader politici, desiderosi di qualche approfondimento…». Alberto Mingardi, direttore dell’Istituto Bruno Leoni, il think tank liberale più blasonato e ricercato da qualche decennio in qua, si schermisce. Ma negli ambienti che contano lo definiscono come «l’uomo che sussurra ai leader» le ricette fiscali più gettonate della stagione: prima tra tutte la flat tax. Da oggetto per addetti ai lavori, la «tassa piatta» è diventata tema da dibattito pubblico e, c’è da giurarci, da campagna elettorale.

È vero che da Forza Italia ai 5 Stelle, fino al Pd renziano, si sono rivolti in tanti a voi per capire come concepirla?
«A luglio dell’anno scorso, il nostro Istituto ha pubblicato “Venticinque% per tutti”, un’ampia proposta di riforma del sistema fiscale che comprende un’aliquota unica al 25%. E un lavoro di ricerca serio, coordinato da Nicola Rossi. Da allora abbiamo avuto diversi incontri con leader politici interessati all’oggetto…».

Come spiega questa improvvisa «passione» della nostra politica per il vostro modello fiscale?
«La risposta malevola è che la flat fax funziona benissimo in campagna elettorale: il concetto è semplice, lo si comunica bene, la gente lo capisce. La risposta benevola è che i politici si sono accorti delle conseguenze del loro operato quando non sono in campagna elettorale. Il fisco italiano è una selva di deduzioni, detrazioni, trattamenti sociali. Siamo il secondo Paese in Europea per tax expenditures, per spese fiscali, dopo l’Austria. C’è bisogno di dare una ripulita».

Facciamo un passo indietro: come nasce la vostra proposta di flat tax?

«Nasce da molteplici considerazioni. La straordinaria complessità del fisco italiano fa sì che oggi due persone possono avere lo stesso reddito, persino vivere nella stessa città, e sopportare un carico fiscale molto diverso. E un po’ difficile pensare che il fisco sia “giusto”. È pure difficile pensare che il fisco sia “ragionevole”: basta guardare all’imprevedibilità delle aliquote marginali. Per intenderci, appena superata la fascia degli 80 euro l’aliquota marginale è elevatissima, come se avessimo a che fare con dei Paperoni».

Da qui il progetto di un’aliquota secca del 25 per cento.
«Sì, il team di ricerca coordinato da Nicola Rossi ha pensato a mettere assieme la proposta di un’aliquota piatta del 25% con un “minimo vitale”, una forma di sostegno alla povertà che sostituisca quella miriade di strumenti scoordinati e contraddittori che oggi costituisce la componente “fiscale” del welfare italiano».

Vediamo le obiezioni: scontato che favorisca chi paga tasse elevate, paradossalmente, però, potrebbe anche danneggiare i meno abbienti, che finirebbero per versare di più.
«Non è vero: il fatto che vi sia una quota esente significa che il 25% si paga sulla quota di reddito oltre tale quota, che nella nostra proposta si “adatta”, per così dire, alla dimensione del nucleo familiare».

La soluzione violerebbe il vincolo costituzionale della progressività tributaria.
«La progressività è del sistema fiscale nel suo complesso, non della singola tassa. Altrimenti bisognerebbe dire che le cedolari secche sono incostituzionali? La nostra proposta comprende una vasta area di esenzione fiscale e un “minimo vitale” a sostegno dei nuclei familiari che non arrivano a una certa soglia di reddito. E un sistema che, per esempio, darebbe qualcosa agli incapienti, cosa che con l’imposta del reddito “progressiva” di oggi non avviene».

Ma come evitare che la flat tax non produca un crollo delle entrate in un Paese con i conti a rischio come l’Italia?
«Questa proposta non è a costo zero. Si finanzia riducendo la spesa. Non è impossibile. Si può immaginare che la riforma entri in vigore gradualmente, con un programma triennale, per reperire nel contempo le risorse necessarie pur inviando già un segnale chiaro a contribuenti e mercati. Per mettere a regime la nostra proposta, servirebbero tagli nell’ordine di 30 miliardi. È davvero impossibile, in un Paese dove la spesa pubblica è più di venti volte tanto?».

Da Quotidiano Nazionale, 28 novembre 2017

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