Il profitto combatte la povertà

Dal 2000 ad oggi la quota di popolazione in stato di indigenza estrema è scesa dal 29% all’8,6%


22 Gennaio 2024

L'Economia – Corriere della Sera

Alberto Mingardi

Direttore Generale

Argomenti / Economia e Mercato

Col meeting di Davos, ogni anno arriva puntuale il grido d’allarme di Oxfam: le diseguaglianze si stanno allargando, pochi ricchi sono sempre più ricchi. Come iniziativa di comunicazione è sempre efficace. L’idea che poche persone posseggano una quota rilevante della ricchezza mondiale colpisce e Oxfam è bravissima nel confezionare statistiche perfette per l’ora dell’aperitivo: tipo «se ciascuno dei cinque uomini più ricchi del mondo spendesse un milione di dollari al giorno, ci vorrebbero 476 anni per esaurire la loro ricchezza combinata».

La pubblicazione si basa in larga misura sul Global Wealth Report del Credit Suisse, da quest’anno Credit Suisse e Ubs. Luciano Capone e Carlo Stagnaro, su Il Foglio, hanno spesso segnalato la fonte di un equivoco: lo studio stima la ricchezza netta, cioè attivi mobiliari e immobiliari meno i debiti, che sono i passivi delle famiglie. «Così, un rampollo della middle class americana che ha fatto un mutuo per studiare a Harvard appare più povero di un suo coetaneo contadino nel Laos che, pur non avendo nulla, non ha neppure debiti». Il rapporto non considera né i patrimoni né i debiti pubblici. E neppure il capitale umano, del quale, soprattutto nel caso di figure come i manager delle grandi imprese, il reddito è almeno in parte il rendimento. 

Oxfam pesca nello studio del Credit Suisse con ampia libertà. Quest’ultimo segnala che nel 2022 le diseguaglianze globali, aumentate con la pandemia, si sono ridotte, tornando a un livello di poco superiore al 2019: l’1% più ricco al mondo detiene il 44,5% della ricchezza. Oxfam denuncia che, dal 2020, i cinque uomini più ricchi del mondo hanno raddoppiato le loro fortune. Ma, sottolinea la banca elvetica, nel 2022 il numero di milionari (in dollari) è diminuito di 3,5 milioni: ora ci sono 59,4 milioni di milionari al mondo. Di questi, 4,4 milioni sono inflation millionaire, cioè non lo sarebbero se il valore dei loro asset fosse corretto per l’inflazione.

Tassi d’interesse e inflazione contribuiscono a spiegare queste oscillazioni annuali, che però hanno un’importanza relativa per cogliere le tendenze di medio termine. Le diseguaglianze nel mondo si sono ridotte, dal 2000 a oggi il coefficiente di Gini è sceso da 0,92 a 0,88, la quota della ricchezza mondiale detenuta dal’1% più ricco è passata dal 49 al 44,5%.

E’ così importante quanti miliardari ci sono al mondo? Oxfam suggerisce che la ricchezza concentrata nelle mani di Jeff Bezos o Elon Musk sia stata «sottratta» a qualcun altro: se loro mangiano caviale è perché c’è chi non ha pane. La ricchezza sarebbe una torta dalle dimensioni fisse, di cui nessuno vuole mollare la sua fetta. Il padre di Musk era comproprietario di una miniera di smeraldi in Zambia, ma il suo patrimonio personale è stimato attorno ai 2,5 milioni di dollari, ben altra cosa rispetto ai 232 miliardi del figlio. Questi ha avuto dalla vita sicuramente più opportunità di buona parte della popolazione terrestre, ma non così tante di più di altri ragazzi di buona famiglia. La madre di Bezos faceva la segretaria e ha incontrato il secondo marito, un esule cubano che poi ha adottato Jeff, alle scuole serali. Miguel fu un buon dirigente della Exxon ma se lui e la moglie appaiono come «miliardari e filantropi» su Wikipedia è perché nel 1995 prestarono 200 mila dollari al figlio per fondare Amazon, di cui poi sono diventati azionisti.

Bezos e Musk hanno creato ricchezza per sé, ma soprattutto hanno sviluppato servizi e beni che prima non c’erano, a beneficio di altri. Per quanto «valore» possa tenere per sé Bezos, è arduo sostenere che sia di più del vantaggio, per esempio, che ha rappresentato per milioni di persone Amazon durante i lockdown, quando ci portava a casa merci che non potevamo andare a comprare. Il patrimonio dei miliardari, o dei milionari, o se è per questo anche di tutti gli altri, non si moltiplica da solo. Cresce nel momento in cui viene impiegato in modo utile: cioè finanziando iniziative che incontrano una domanda. Magari a realizzare quelle iniziative sono altri, che non hanno un capitale proprio: come il giovane Bezos che chiede soldi in prestito ai genitori ma anche alle banche.

In una società come la nostra, la maggioranza dei prodotti sono il risultato di un processo di produzione che ha bisogno di molto tempo (ci vogliono cinque anni per passare da un disegno a un’automobile) e quindi molto capitale. Una certa dotazione di capitale è necessaria per mettere in moto produzioni complesse, esattamente come un certo capitale umano è imprescindibile per svolgere mansioni complicate. Anche per questo, il progresso economico si accompagna a una distribuzione ineguale delle risorse. Ma non è affatto detto che un mondo egualitario sia desiderabile. Nella storia ci sono state società egualitarie: erano di norma molto povere. L’alternativa è la «socializzazione» del capitale. Le esperienze che abbiamo fatto sin qui non sono incoraggianti.

L’altra faccia del rendimento è il rischio; ma mentre tutti vogliamo beni e servizi sempre nuovi, non tutti vogliamo assumerci il rischio di incorrere in perdite ingenti almeno quanto possono esserlo i profitti. Dal 2000 a oggi, la quota della popolazione mondiale che vive al di sotto della soglia della povertà è scesa dal 29 all’8,6%. Nello stesso periodo, siamo diventati 2 miliardi in più. E c’entra qualcosa il fatto che, per fare profitto, in questi vent’anni i ricchi e i loro banchieri hanno cercato iniziative da finanziare nei Paesi più poveri.

da L’Economia del Corriere della Sera, 22 gennaio 2024

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