Pandemia, il conto alle imprese più piccole

Solo tagliando spesa e tasse l'imprenditorialità diffusa potrà riprendersi e tornare a produrre ricchezza

25 Novembre 2021

La Provincia

Carlo Lottieri

Direttore del dipartimento di Teoria politica

Argomenti / Politiche pubbliche

La situazione delle piccole aziende nei servizi, nell’artigianato, nel commercio è sempre più difficile. Siamo ormai di fronte a una catastrofe del lavoro autonomo: i dati sono inequivocabili (circa 150 mila lavoratori indipendenti in meno in un solo anno) e le ragioni sono evidenti. L’epidemia ha comportato una serie di misure restrittive della libertà che ha colpito in vario modo la vita economica (si pensi al lockdown), penalizzando soprattutto il settore privato.

Nell’ambito del pubblico, in effetti, la situazione è stata diversa, dato che numerosi lavoratori statali non hanno pagato un prezzo e in qualche occasione hanno perfino migliorato la loro posizione, poiché sono stati posti in smart working e in tal modo hanno risparmiato tempo e denaro prima destinati ai trasporti.

Anche all’interno del settore privato, comunque, lo scenario è differenziato. Alcune grandi imprese hanno potuto ottenere significativi benefici dalla massiccia spesa pubblica non solo in ambito farmaceutico e sanitario che ha accompagnato i tentativi del governo di rispondere alla crisi. E se da più di un anno quasi non si parla d’altro che del Pnrr, è anche perché esiste un forte interesse a intercettare quel fiume di denaro: sempre avendo presente che i gruppi industriali maggiori sono in una posizione privilegiata in questa peculiare corsa alla spartizione del bottino.

Ne discende che a pagare il prezzo più alto della crisi pandemica, alla fine, sono proprio le piccole e piccolissime imprese, che ancora oggi devono trovare sul mercato le loro opportunità, ma sono chiamate a fare i conti con un generale impoverimento della società e con un aumento generalizzato dei prezzi, conseguente a decenni armi di espansione monetaria e debiti sovrani.

La logica di breve periodo delle politiche economiche di stampo dirigista è utile a costruire consenso (spesa pubblica in cambio di voti), ma fatalmente danneggia quel tessuto economico di cui le piccole imprese fanno parte. Anche l’illusione che le micro-aziende possano trarre profitto dalla pianificazione economica statale – un’illusione talvolta alimentata dalle associazioni di categoria, in troppi casi legate alla politica – il più delle volte produce soprattutto frustrazioni e fallimenti.

Nonostante questo vi sarebbero vie d’uscita, ma per individuarle è necessario modificare in profondità il nostro sguardo sulla società. Innanzi tutto bisognerebbe tornare alla normalità: in tutti i sensi. C’è una grande necessità com’è avvenuto altrove (nel Regno Unito, ma non solo) di chiudere la fase dell’emergenza, rifiutando l’isteria connessa alla pandemia e rendendosi conto che ormai la situazione non è più quella di un anno fa. A questo punto, di conseguenza, non è ammissibile il permanere dell’incertezza normativa che dalla primavera del 2020 ci impedisce di fare programmi.

Oltre a ciò, si deve ridurre il ruolo dello Stato, tagliando spesa e tasse. Soltanto in questo modo la nostra economia più dinamica, in larga misura basata proprio su un’imprenditorialità diffusa fatta di iniziative di modesta entità, potrà riprendersi e tornare a produrre ricchezza, occupazione e crescita.

Da La Provincia, 25 novembre 2021

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