La Lectio Minghetti, l’annuale appuntamento dell’Istituto Bruno Leoni sui temi della finanza pubblica, non poteva cadere in un momento migliore. La figura di Minghetti è legata allo storico raggiungimento del pareggio di bilancio risultato che non portò politicamente fortuna visto che segnò la fine della Destra storica e proprio in queste settimane il governo prepara una Legge di stabilità incentrata su un aumento del deficit programmato e tutti i partiti, già pronti per la campagna elettorale, propongono aumenti di spesa e deficit ancora maggiori. Insomma, la classe politica ha imparato che il prezzo politico per i conti in ordine è molto alto, anche se il costo economico dell’irresponsabilità lo pagano i cittadini con un debito che supera il 130 per cento del pil.
Anche la scelta dell’ospite della Lectio Minghetti di quest’anno non poteva essere migliore. Richard E. Wagner, economista della George Mason University, è un importante esponente della scuola della Public Choice, che esattamente 40 anni fa scrisse insieme al premio Nobel James M. Buchanan La democrazia in deficit, un saggio sulla demolizione del principio del pareggio di bilancio da parte di John Maynard Keynes e il conseguente continuo ricorso all’indebitamento nelle democrazie.
Cos’è cambiato in questi 40 anni? «Dopo la rivoluzione della Public choice c’è molta più consapevolezza – dice al Foglio Wagner – ma persiste una visione romantica della politica. Ancora oggi a gran parte delle persone piace pensare alla politica come alla cosa a cui rivolgersi per sistemare ciò che non va».
E invece, secondo la teoria della Public choice, la politica non è l’area in cui operano angeli preoccupati per il bene comune, ma persone in carne e ossa che si preoccupano prima di tutto dei propri interessi e del proprio potere. In questo senso quindi non c’è differenza con gli agenti nel libero mercato. «Ciò che cambia non è la razionalità degli attori – risponde Wagner – ma l’ambiente in cui operano. Un importante intellettuale italiano come Vilfredo Pareto distingueva tra le azioni logiche, basate sul conto economico e proprie del mercato, e le azioni non logiche caratteristiche dell’ambiente politico che scaricano i costi nel futuro su altre persone».
Anche le azioni non-logiche sono perfettamente razionali, dal punto di vista del politico che conquista il consenso e degli elettori che ottengono benefici, ma producono debiti e irresponsabilità fiscale. Una soluzione è quella di mettere vincoli stringenti di bilancio, ma in Italia, da quando nel 2011 è stato introdotto nella Costituzione, il pareggio di bilancio non è mai stato raggiunto. «Anche negli Stati Uniti 49 stati hanno il pareggio di bilancio in Costituzione dice Wagner ma solo 4 o 5 sono in pareggio».
E perché? «C’è stato un profondo cambio culturale. Adam Smith diceva che ciò che è prudente per una famiglia non può essere una scelta folle nella gestione della nazione, mentre con l’avvento di Keynes si è affermato il principio opposto».
Come se ne esce se neppure le regole costituzionali riescono a imporre una gestione oculata dei bilanci pubblici? «Lavorando sull’opinione pubblica, perché in fondo il Parlamento compone ed esegue i desideri dei cittadini».
Si tratta insomma di una battaglia di idee e in questo senso si può dire che anche Wagner è keynesiano: «Il mondo è governato da poco altro – scriveva Keynes nella Teoria generale – Gli uomini pratici, che si ritengono completamente liberi da ogni influenza intellettuale, sono generalmente schiavi di qualche economista defunto».
Da Il Foglio, 14 marzo 2017