I vantaggi sono tanti: dalle entrate aggiuntive nelle casse delle istituzioni culturali alla loro maggiore visibilità e al loro più elevato utilizzo
Il tema non è nuovo: l’utilizzo del patrimonio culturale pubblico per eventi privati. L’ultima polemica in ordine di tempo riguarda i festeggiamenti di matrimonio, che si sono svolti lo scorso 7 dicembre nei locali monumentali dell’Archivio di Stato di Napoli. Secondo i resoconti giornalistici, centinaia erano gli invitati e non sarebbero mancati musica, effetto fumo artificiale in stile discoteca, luci, champagne, forse qualche sigaretta accesa, insomma: festeggiamenti dovevano essere e, a quanto pare, festeggiamenti sono stati. È stata dunque violata la sacralità del luogo?
La direttrice dell’Archivio ha intanto fornito la sua versione dei fatti, spiegando l’intera vicenda: dalla preparazione dell’evento al suo svolgimento. Mentre il direttore generale Archivi del ministero della Cultura ha chiesto “chiarimenti urgenti” alla direttrice e inviato i tecnici a verificare le condizioni del patrimonio.
In Italia, come sappiamo, i beni culturali non mancano. A fronte della loro vastità, il problema è sempre stato quello di come tutelarli e gestirli da parte del settore pubblico. Che la tutela e la gestione abbiano costi ingenti, anche questo è un fatto. La richiesta di un utilizzo “privato”, in quanto ambienti con un prestigio e una bellezza innegabili, è iniziata diversi anni fa. E tutto sommato entrate extra per rimpinguare le casse di queste istituzioni, non fanno mai male. Ma quali eventi privati è opportuno ospitare?
La scelta del Colosseo per organizzare una “esperienza” al fine di imparare le tecniche gladiatorie forse non è sbagliata, anzi: sembrerebbe proprio il luogo giusto, dal momento che lì non si svolgevano raffinati eventi culturali ma anche truculenti combattimenti. Naturalmente, il tutto va svolto, oggi, rispettando l’integrità del sito.
Oppure, che il patrimonio venga utilizzato per ospitare spot pubblicitari o set fotografici, ma anche per eventi mondani o di intrattenimento, come sfilate, concerti, ecc. tutto sommato potrebbe dare qualche beneficio, non solo economico ma in termini di immagine, al luogo stesso.
Come sempre, a prescindere che ci siano regolamenti ministeriali che disciplinano l’affitto degli spazi pubblici, il buon senso, nella scelta se e come ciò possa accadere, dovrebbe avere la meglio su ogni cosa.
Gli eventi ospitati non dovrebbero presentare rischi di eventuali danneggiamenti del patrimonio, dovrebbero essere magari affini con il contesto che li ospita, non dovrebbero pregiudicarne la fruizione pubblica (che un museo, ad esempio, stia chiuso per qualche ora ogni tanto per un evento privato va bene, che stia chiuso troppo spesso per gli stessi motivi forse no).
Regge, palazzi storici e tanti altri luoghi erano soliti ospitare eventi “mondani”, una volta che sono finiti all’interno del patrimonio pubblico, sono stati “sacralizzati” e sono diventati come dei “templi” della cultura. Non c’è nessuno scandalo pertanto a “riaprirli” per darli in affitto a privati, a patto che vengano rispettate alcune condizioni, come quelle sopra elencate.
Nuove polemiche tra i sacerdoti del culto del patrimonio e i sostenitori di istanze più terrene e materiali siamo comunque sicuri che non tarderanno a ripresentarsi. Ma ci sono ottime ragioni per non mettere barriere all’utilizzo anche a fini privati del patrimonio pubblico: è un modo per mantenere vivo il patrimonio stesso, può essere una importante fonte di entrate a vantaggio di tutti, e può dare ulteriore visibilità a luoghi e opere d’arte.
Il buon senso è spesso una regola più efficace degli assolutismi, specie quando questi finiscono per avere effetti escludenti non solo nei confronti dei privati interessati, ma anche della collettività che beneficia indirettamente dei loro apporti finanziari.