Per MPS non valgono nemmeno le buone abitudini

La crisi doveva insegnarci chein un sistema finanziario più stabile viene fatta rispettare l'aurea regola del chi rompe paga

19 Dicembre 2016

IBL

Argomenti / Politiche pubbliche Teoria e scienze sociali

Dallo scoppio della crisi finanziaria ad oggi, la strategia della politica italiana, in fatto di banche, è stata una: la minimizzazione dei problemi. Si capisce l’istinto della prudenza, non soffiare su un fuoco che può divampare, si capisce di meno il nazionalismo bancario, quella specie di esercizio di autoillusione per cui i nostri istituti di credito sarebbero più prudenti, meno spericolati, meglio gestiti, anche perché fino a tempi recenti vi si parlava poco l’inglese.

Per questioni di orgoglio nazionale, Mario Monti evitò di ricorrere, come fatto dagli spagnoli, al fondo salva-stati per ricapitalizzare le banche italiane. Prima di lui, per Monte Paschi erano stati utilizzati strumenti ad hoc. Con il governo di Matteo Renzi, la banca senese è stata oggetto di forte attenzione.

Il governo si è occupato di quella banca con tutta la sollecitudine di un azionista, quale ormai è. Ma sappiamo bene che gli interessi di un azionista di una banca non coincidono necessariamente con quelli del sistema del credito, o del Paese nel suo complesso.

A noi sembra che, nel balletto di ipotesi sul futuro di MPS, stiamo smarrendo persino quel poco di rispetto per il denaro dei contribuenti che ha contrassegnato, sino ad ora, la prassi dei bail out bancari in Italia.

Prima ancora della direttiva europea sul bail in, prima del testo unico bancario, prima delle direttive europee in materia di adeguatezza del capitale delle banche, fin dal 1936, ci siamo attenuti a una regola senza eccezioni: ogni qual volta al contribuente è stato è stato chiesto di mettere i suoi soldi in una banca, si è prima azzerato il capitale. Così è stato per la Banca Privata di Sindona, per il vecchio Banco Ambrosiano, per il Banco di Napoli, e per tutti i casi minori che si sono verificati negli scorsi ottant’anni. Il principio era semplice: se mi costringi a mettere soldi pubblici, tu vecchio azionista ci rimetti il tuo investimento, e vieni estromesso dalla gestione. Si salva la banca, non gli azionisti della banca. Addirittura nel caso del Banco Ambrosiano, lo Ior non solo ci rimise il proprio investimento in azioni, ma anche un di più legato al quasi-capitale, costituito dalle lettere di patronage che aveva rilasciato al Banco.

In parte, MPS è già stata un’eccezione a questa regola: con i Tremonti Bonds prima e con i Monti Bonds dopo. Ma all’eccezione non c’è fine, se è vero che si sta pensando a una vera iniezione di capitale che riconosca un valore residuo alle azioni già in circolazione. Il salvataggio della banca comprende quindi il salvataggio dei suoi azionisti. Altro che bail in degli obbligazionisti subordinati!

La crisi doveva insegnarci che un sistema finanziario più stabile è prima di tutto un sistema nel quale viene fatta rispettare l’aurea regola del chi rompe paga. Il governo italiano sembra invece essersi orientato a premiare l’irresponsabilità. Quel che è peggio, coi soldi di tutti.

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