Per una Scala più autonoma

Nel corso della polemica su Pereira si è parlato pochissimo delle esigenze del teatro, dei suoi problemi e delle sfide con cui il nuovo sovrintendente dovrà confrontarsi

20 Maggio 2014

Corriere della Sera

Alberto Mingardi

Direttore Generale

Argomenti / Teoria e scienze sociali

Nelle scorse settimane, i milanesi hanno avuto la sgradevole impressione che anche la Scala fosse diventata il teatro di uno scontro tutto politico. Si è arrivati a una soluzione di compromesso, che non fa bene né alla reputazione della Scala né a quella di Alexander Pereira ma che appare il male minore. Si è corso il rischio, grosso, di perdere un sovrintendente di grande esperienza e, con lui, la collaborazione del Maestro Chailly. A pochi mesi dall’Expo, è improbabile che fossero disponibili alternative minimamente decorose. La polemica ha tenuto banco per giorni, ma paradossalmente si è parlato, in tutto questo tempo, pochissimo della Scala: delle sue esigenze, dei suoi problemi, delle sfide con cui il nuovo sovrintendente dovrà confrontarsi. L’opinione pubblica s’è divisa: da una parte i (pochi) difensori di Pereira, dall’altra chi voleva cacciare l’austriaco al grido di «manager e buoi dei Paesi tuoi». Il compromesso delude gli uni e gli altri, e pertanto, per gli standard della politica, è un buon compromesso.

Ma è sensato gestire così uno dei principali teatri lirici del mondo occidentale? Com’è noto, una sentenza del Tar del Lazio (poi confermata dal Consiglio di Stato) ha annullato il .egolamento per le fondazíoní lirico-sinfoniche, che di fatto concedeva a Scala e Accademia di Santa Cecilia una sostanziale autonomia. Questa autonomia avrebbe consentito non solo una maggiore flessibilità sul piano gestionale (per esempio la possibilità di dotarsi di un proprio contratto di lavoro, con la possibilità di superare il contratto collettivo nazionale del settore) ma anche il passaggio a regole di goyernance diverse.

È evidente che servirebbe cambiare passo. Il presidente del cda della Scala è il sindaco di Milano: scelta simbolicamente significativa, ma che si traduce in un presidente a mezzo servizio, chiunque sia il sindaco. Il consiglio ha una composizione curiosa: è un bizzarro ibrido di sottobosco politico e di grandi nomi dell’establishment economico nazionale, che pure non è detto abbiano le competenze e, prima ancora, il tempo per occuparsi della Scala.

La Scala è e va considerata una grande impresa (la parola è quella corretta) culturale, che deve produrre spettacoli che il pubblico desideri andare a vedere. La musica colta è un mercato difficile, ovunque nel mondo, e per questo più che mai ha bisogno di solide competenze manageriali e di immaginazione imprenditoriale. In un contesto di permanente crisi del bilancio pubblico, deve imparare a rivolgersi sempre più a donatori privati, costruendo nuove reti di relazioni che attraggano persone e denari. Una buona programmazione non corrisponde solo ad astratte esigenze «artistiche»: ma anche a questioni di questo tipo, sulle quali si misureranno i successi o gli insuccessi di Pereira e di chi verrà dopo di lui.

È paradossale che su una vicenda come quella delle opere acquistate da Salisburgo il sindaco di Milano abbia dovuto mettere in gioco il suo buon nome. Forse, allora, la battaglia da fare è quella per l’autonomia della Scala, requisito necessario per avere regole migliori e recuperare quella giusta distanza, fra i due palazzi dirimpettai, che all’uno e all’altro può solo far bene.

Dal Corriere della sera, 20 maggio 2014
Twitter: @amingardi

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