Quell’oscuro oggetto del desiderio – pallido, nella versione originaria – è il titolo di un film di Buñuel. E chi sia l’oggetto, quasi superfluo ricordarlo, è la donna. Un’espressione letteraria, se a veicolarla è Buñuel, al seguito di millenni di espressione artistica sulla femminilità, corpo compreso, a partire dai nudi delle Veneri paleolitiche. Un’affermazione scandalosa, se a veicolarla è un messaggio pubblicitario.
La differenza sta nella mercificazione del corpo, si dice. Lo ha detto anche il sindaco di Roma, Ignazio Marino, ricordando che questo mese entra in vigore una delibera approvata dall’Assemblea capitolina nel luglio scorso che vieta l’affissione di messaggi pubblicitari contenenti “stereotipi e disparità di genere, veicoli di messaggi sessisti, violenti o rappresentanti la mercificazione del corpo femminile”. Un divieto forte ma anche abbastanza generico e variamente interpretabile. L’interpretazione che ne ha dato Marino, col plauso della Presidente della Camera Boldrini che non è nuova a criticare l’uso stereotipato dell’immagine femminile in pubblicità, è che il comune vieterà le affissioni che utilizzino il corpo delle donne associandolo all’idea di oggetto e di commercio.
Possono non far piacere, e non solo alle donne, talune immagini pubblicitarie. Succede per tutte le pubblicità. Oliviero Toscani ne sa qualcosa. Ma anche lo Stato, con gli orridi avvertimenti imposti sui pacchetti di sigarette, ne sa qualcosa. Non sobbalziamo per polmoni marcescenti, offerti in bella vista sui pacchetti di sigarette anche a chi non fuma, ma dovremmo sobbalzare per l’immagine sessista che si fa della donna al punto da vietarla. Cosa sia un’immagine sessista, lo può dire soltanto chi può vietare. Un nudo di donna o anche una donna dietro ai fornelli che sottostà, ingenuamente soddisfatta, ai più triti cliché familiari?
Leggi il resto su Il Foglio, 26 marzo 2015
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