Perché la politica sbaglia sui voucher

Il problema è che l'economia italiana, nel suo insieme, ha enormi problemi: non cresce, non produce utili, è bloccata da regole e tasse, non è in grado di conquistare mercati

29 Maggio 2017

La Provincia

Carlo Lottieri

Direttore del dipartimento di Teoria politica

Argomenti / Teoria e scienze sociali

In queste ore il mondo politico romano è nuovamente caratterizzato da forti tensioni in tema di “voucher”. Dopo che nel marzo scorso anche allo scopo di far saltare un referendum chiesto dai sindacati il governo aveva abolito questa forma di pagamento per lavori occasionali, nella maggioranza c’è oggi chi vorrebbe reintrodurli. In sostanza, molti stanno comprendendo che senza questo strumento varie attività di piccole dimensioni (dai ristoranti alle aziende agricole) hanno enormi difficoltà. E ovviamente ai problemi di chi offre lavoro si accompagnano, in maniera indissolubile, quelli di chi un impiego lo cerca. Per quale motivo è in atto questa polemica tra chi è favorevole a tali buoni e chi invece è contrario? La principale ragione sta nel fatto che questa modalità di pagamento caratterizza il lavoro saltuario, precario, occasionale. E in tanti soprattutto a sinistra temono che le aziende abusino di questo strumento, evitando di “mettere in regola” con contratti a tempo determinato i propri addetti.

È doveroso preoccuparsi per i giovani ed è ovvio che un lavoro con un contratto ordinario sia di gran lunga preferibile a impieghi di breve respiro: che rendono difficile fare progetti, sposarsi, ottenere un mutuo per la casa. Bisognerebbe però comprendere che se molti ricevono soltanto offerte lavorative di questo tipo è perché l’economia italiana, nel suo insieme, ha enormi problemi: non cresce, non produce utili, è bloccata da regole e tasse, non è in grado di conquistare mercati.

Se le cose stanno così, è abbastanza chiaro che non basta imporre una o poche forme di contratto lavorativo per offrire ai giovani un futuro migliore. Se i ragazzi non hanno grandi opportunità, essere ossessionati dalle forme contrattuali significa guardare il dito invece che la luna. In effetti, solo quando l’economia tornerà a fare profitti avremo un contesto nel quale le aziende bisognose di forza lavoro saranno portate a offrire salari più alti e condizioni migliori. È insomma il mercato che definisce le opportunità reali, e non già la volontà del legislatore.

Per giunta, la scelta di irrigidire il mercato del lavoro non aiuta l’economia a uscire dalle sue presenti difficoltà, così che invece che aiutare i lavoratori alla fine li danneggia. Alcune rilevazioni hanno mostrato che solo 5 aziende su 10 che nei mesi scorsi facevano ricorso ai voucher hanno trovato una soluzione alternativa. Le altre cinque come hanno reagito? A tutt’oggi tre non sanno che fare, mentre le altre due hanno già deciso di rinunciare a una parte dei dipendenti.

È evidente come a Roma più che i temi economici interessano i calcoli politici. Nei fatti, il principale contrasto oppone il Pd di Renzi ai bersaniani di Mpd; e c’è pure chi è persuaso che il partito di maggioranza punti a trovare una scusa per fare crollare tutto, andando al voto rima della fine dell’anno. È però vero che, sullo sfondo, c’è il persistere di una cultura avversa al mercato. Il risultato è che chi un tempo lavorava coni “voucher” ora non avrà più nemmeno questi, finendo vittima di questo modo astratto e ideologico di ragionare, incapace di fare i conti con la realtà.

Da La Provincia, 27 Maggio 2017

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