Piazza Tienanmen, il sogno non è svanito

Oggi la Cina è un gigante economico: Ronald Coase e Ning Wang spiegano come lo è diventato in "Come la Cina è diventata un Paese capitalista" (IBL Libri)

4 Giugno 2014

La Provincia di Como

Carlo Lottieri

Direttore del dipartimento di Teoria politica

Argomenti / Teoria e scienze sociali

Venticinque anni fa, il 4 giugno del 1989, la Cina conobbe momenti drammatici. Con il massacro di piazza Tienanmen il cui numero delle vittime resta ancora oggi assai misterioso il regime comunista sembrò cancellare ogni speranza di un’evoluzione liberale. Facendo confluire a Pechino mezzi cingolati provenienti da province remote per reprimere una protesta popolare che durava da mesi, il regime socialista consolidò il potere negando il confronto e contrastando ogni ipotesi di cambiamento politico.
Da allora, però, molto è mutato. La Cina non è una democrazia, ma al tempo stesso gli spazi di libertà sono cresciuti: prima nell’economia e poi anche in altri ambiti. Quella stessa rivolta di piazza era figlia di un processo di modernizzazione già in atto che stava aprendo squarci entro un mondo che Mao Tse-tung, per molti anni, aveva chiuso a ogni evoluzione.

Come è stato possibile?
Com’è stato possibile? Com’è successo che un Paese già vittima di progetti folli quali la Rivoluzione Culturale e il Grande Balzo in Avanti abbia saputo mettersi su giusti binari, tanto da crescere al ritmo del 10% all’anno? Per accostare tali questioni, per Ibl Libri ora è disponibile in italiano un volume scritto due anni fa da un più che centenario Ronald Coase (premio Nobel per l’economia nel 1991) e da Ning Wang. Il volume unisce storia e analisi teorica, aiutando a comprendere come la Cina sia riuscita a dare spazio a imprese private e generare il dinamismo della concorrenza. Nel loro sforzo di spiegare “Come la Cina è diventata un Paese capitalista” (questo è il titolo del volume), Wang e Coase sottolineano il carattere tradizionalmente decentrato della Cina, che nel corso dei secoli non è mai stato gestita direttamente da Pechino.

Nemico del dirigismo
Lo stesso Mao evitò ogni dirigismo di stile sovietico perché riteneva che ciò avrebbe rafforzato i luogotenenti politici e avrebbe rappresentato un pericolo per la sua leadership. Avere tanti capetti locali era meglio che non dotarsi di una tecnostruttura nella capitale. Perseguendo in modo assai machiavellico i suoi calcoli, Mao bloccò così ogni concentrazione del potere in poche mani. L’altra questione su cui gli autori insistono è il ruolo dei cambiamenti “ai margini”. In definitiva la Cina collettivizzata da Mao si è trovata ad affrontare una povertà terribile e una disoccupazione di grandi dimensioni.
In questo quadro terribile e, spesso, a molte centinaia di chilometri da Pechino, in varie circostanze quella che ebbe luogo fu una privatizzazione di fatto dei terreni, la quale produsse ottimi risultati e venne poi presentata dal regime come l’effetto di una scelta strategia. Ma pure in città la nascita di imprese private ebbe luogo nell’illegalità. Il regime subì i cambiamenti, ma ebbe la furbizia di non ostacolarli e, anzi, si attribuì le trasformazioni quali effetti di decisioni lungimiranti.

Il pragmatismo di cui diedero prova i comunisti cinesi e, in particolare, Deng Xiao-Ping (cui poco interessava se fossero meglio Stato o mercato) è cruciale per capire l’apertura al mercato della Cina, ma anche Deng avrebbe potuto fare ben poco se lontano dai centri potere non ci fosse stata la coraggiosa iniziativa di chi haosato, sfidando i pregiudizi e gli interessi consolidati. E oggi la partita cinese è assai più aperta proprio grazie alla nascita di imprese che sfidano il mercato invece che rispondere a esigenze politiche.

Risposte positive
Anche se taluno non vuole ammetterlo, l’esperienza cinese è quella di un potere che un po’ alla volta si è ridimensionato. Nonostante i molti problemi che persistono, dal partito unico al Tibet, oggi la libertà individuale è assai più rispettata e il potere meno ramificato, perché le forze imprenditoriali hanno sparigliato le carte.

L’evoluzione cinese viene spesso confrontata a quello russa. E in genere il giudizio che viene dato tende a sottolineare come i cinesi abbiano conseguito successi più rilevanti, dato che a Pechino il cambiamento hainvestito in profondità il diritto privato e l’economia, mentre a Mo scala svolta ha riguardato il sistema istituzionale, il pluralismo dei partiti, un più ampio accesso al confronto intellettuale.

Il risultato è che oggi la Cina è un gigante economico, che compete con Usa ed Europa, gioca un ruolo cruciale in Africa e vede megalopoli emergere di continuo dal nulla. Il suo trionfo economico ha progressivamente trasformato anche la vita civile ed è lecito immaginare che, nei prossimi anni, quelle richieste di pluralismo che avevano mobilitato gli studenti della piazza Tienamen possano trovare risposte positive.

Da La Provincia di Como, 4 giugno 2014

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