PNRR, le incertezze che agitano Bruxelles

Un eventuale fallimento del PNRR italiano sarebbe un problema politico per questa Commissione

27 Novembre 2023

La Stampa

Serena Sileoni

Argomenti / Politiche pubbliche

E’ una notizia così importante che la Commissione europea abbia approvato le modifiche al Pnrr? Ci sono due prospettive di risposta a questa domanda. Le modifiche sono, ha detto il ministro Fitto, frutto di un lavoro complesso. Difficile che potesse essere altrimenti: per un piano da oltre 190 miliardi, ogni modifica è frutto di attività complicate di valutazione e negoziazione, sia tecnica che politica. È anche comprensibile che il buon esito della modifica, ancora sottoposta a un passaggio definitivo in Consiglio, sia utilizzato dal governo come vetrina dei buoni e prolifici rapporti con l’Unione europea. Ciò non toglie, tuttavia, che tale revisione possa rivelarsi meno importante di quel che non si è indotti a credere di primo acchito. 

In primo luogo, la più importante delle novità è data dall’inserimento delle risorse e delle azioni che rientrano nel RepowerEU, il piano lanciato nel maggio 2022, all’indomani dell’invasione russa dell’Ucraina, per rendere l’Europa autonoma nell’approvvigionamento dell’energia e aiutare gli investimenti nella transizione energetica. Si tratta quindi di risorse e azioni che dovevano in ogni caso essere integrate nel Piano, così come è già avvenuto o sta avvenendo anche negli altri Stati beneficiari del Fondo di ripresa e resilienza. Delle sette riforme aggiuntive rispetto alle 59 già esistenti, 5, ad esempio, sono relative al piano Repower. 

Quanto agli investimenti, le modifiche del Piano rimodulano l’uso delle risorse e i tempi di esecuzione, anche stralciando alcuni progetti minori, senza tuttavia modificare, se non per circa tre miliardi in più, l’ammontare totale. Una messa in discussione della esorbitante cifra di finanziamenti avrebbe invece rappresentato, essa sì, un vero cambio di passo, anche alla luce delle difficoltà costantemente rappresentate sulla capacità di spendere bene quei soldi. 

In secondo luogo, da un punto di vista tecnico le modifiche sono una possibilità fisiologica dei Piani nazionali di ripresa. Il regolamento europeo che ha istituito il Fondo che li finanzia consente agli Stati di proporne in corso d’opera la modifica, anche nella definizione dei traguardi e degli obiettivi, dunque della individuazione degli investimenti e delle riforme. Chiaramente, le modifiche non possono essere arbitrarie e dettate solo da un cambio di indirizzo politico, ma a quei livelli istituzionali i negoziati mescolano elementi tecnici e politici al punto da rendere pleonastica la formula delle “circostanze oggettive” da cui deriverebbe un’impossibilità sopravvenuta di realizzazione del piano originario. 

Stando ai monitoraggi della Commissione, le modifiche ai piani nazionali sono già state numerose: Germania, Lussemburgo, Finlandia, Estonia, Francia, Slovacchia, Malta, Irlanda, Portogallo, Danimarca, Spagna, Repubblica Ceca, Olanda, Slovenia, Austria, Belgio, Svezia, Polonia, Ungheria, Grecia, Croazia, Cipro, Romania, Lituania, Bulgaria hanno già negoziato con l’Unione la modifica dei loro Piani, solo in parte per rispondere alla richiesta di integrazione delle risorse del RepowerEU nei piani nazionali. Da queste richieste, la Commissione, come avvenuto per l’Italia, apre una fase di discussione e confronto, che per il nostro Paese andava avanti da questa estate, per mettere a punto le revisioni, negoziare i tempi, l’assegnazione delle risorse, la cancellazione di alcuni progetti e l’inserimento di altri. Esiste, in questo senso, la reale alternativa di un esito negativo di questi negoziati? 

L’Italia è il principale beneficiario del dispositivo di ripresa e resilienza. A nessuna delle due parti al tavolo conviene ritardare oltre modo, ostacolare o mettere in discussione l’attuazione del nostro Pnrr. Non conviene all’Italia, ma non conviene nemmeno all’Unione europea e soprattutto alla Commissione, in questo momento. Un eventuale fallimento del Pnrr italiano sarebbe un problema politico per questa Commissione e un problema di visione del futuro dell’Unione. Insomma, per paradossale che sembri, il prezzo che la Commissione, in particolare la Commissione di Von der Leyen, rischia di pagare sarebbe maggiore a quello che pagherebbe il governo italiano, in particolare il governo del Presidente Meloni, che, quando era all’opposizione, non votò per il Piano che ora deve attuare.

da La Stampa, 27 novembre 2023  

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