Trent'anni fa, il 17 settembre 1994, moriva Karl Popper. Il giorno successivo la scomparsa, sul quotidiano La Voce, Sergio Ricossa lo ricordava così
Il primo merito di Popper è di averci regalato una filosofia comprensibile a tutti, anche ai non filosofi. Chiara non è soltanto la sua filosofia, ma pure, per suo mezzo, diventano chiare le filosofie altrui.
Delle molte pagine di Popper si può ricavare facilmente una sua storia delle filosofie, dai presocratici ai post-moderni; una storia molto personale criticabile e criticata ma avvincente. La sua interpretazione di Platone, per esempio, peccherebbe secondo alcuni di un eccesso di semplicità e di antipatia. È possibile senza essere scandaloso poiché Popper mai pretese il monopolio della verità.
Al contrario egli negò che la ragione umana, alla quale tuttavia bisogna affidarsi, giunga alla verità assoluta, se non per caso e senza accorgersene. Questa è la base di una immediata applicazione della filosofia popperiana alla politica. Ecco il secondo merito del nostro filosofo: il suo contributo a costruire una società più libera, più democratica, cioè la “società aperta”, secondo l’etichetta che egli preferì.
Ebbe una esperienza diretta dei mali imputabili alla mancanza di libertà. Negli anni 1935-36 si recò in Inghilterra lasciando l’Austria sua patria, per fuggire (sono parole sue) “una dittatura relativamente mite che però era minacciata dal vicino Paese nazionalsocialista” (la Germania di Hitler).
Non fu facile per lui vivere da esule, esprimersi in inglese e far carriera controcorrente, ossia osteggiando la cultura marxista allora intatta, o quasi, nel prestigio e nel potere. Non gli fu facile anche perché dovette ripudiare fra l’altro una parte della giovinezza, il breve periodo in cui egli stesso fu contagiato dai germi del marxismo.
L’uomo Popper non restò inferiore al filosofo Popper. Lo conosciamo per mezzo di una sincera autobiografia (La ricerca non ha fine) e grazie alla sua grande disponibilità a incontrare gli altri, a comunicare, a discutere. Nella seconda parte della sua vita, giunto finalmente alla celebrità (ci fu addirittura una specie di Popper mania tra i giovani) era frequente incontrarlo ai convegni e facile parlargli. Non mancava di humour il che alimentò una serie di aneddoti che attendono di essere raccolti.
I suoi gusti erano decisi: Socrate, tutto buono, Platone, tutto cattivo; i Sofisti, da rivalutare; la musica di Wagner, detestabile, l’economia di Hayek, buona; eccetera. Forse per questo sollevò dapprima l’ostilità in seguito la gelosia di molti colleghi.
Un amico disse di lui: “Rimaneva allibito davanti un interlocutore sgarbato e prepotente e non avrebbe accettato le sue argomentazioni quantunque fosse incapace di confutarle”. Ai convegni mostrava di non tollerare, lui tollerantissimo, soprattutto e forse esclusivamente i fotografi che lo accecavano coi flash.
Parlando di Popper non si può dimenticare chi più fece per “lanciarlo” in Italia: il professor Dario Antiseri e la casa editrice Armando che non è fra le maggiori (così come Antiseri non è un filosofo puro).
Il lancio riuscì, sebbene in ritardo, per demerito del resto dell’accademia e dell’editoria di casa nostra. Quando nel 1973 Armando pubblicò le 1.200 pagine della Società aperta e i suoi nemici si comportò da vero imprenditore amante del rischio.
Per qualche anno le vendite dell’opera furono insignificanti. Poi, come ho detto, scoppiò la Popper mania e un apparente insuccesso del coraggio si tramutò in un buon affare editoriale.
Adesso la Popper mania è finita, la moda è piuttosto di “correggere” Popper. Niente di male, la ricerca non ha fine. Ma non ha fine nemmeno la riconoscenza che dobbiamo al filosofo il quale, sino all’ultimo, sino al novantaduesimo anno di età, ha eccitato la sua e la nostra intelligenza.