Il premierato di fatto di Meloni

La Costituzione materiale ha già assimilato un ruolo sempre più distinto del Presidente

8 Novembre 2023

La Stampa

Serena Sileoni

Argomenti / Diritto e Regolamentazione

Il Piano Mattei è legge. Anzi, decreto legge. Siamo talmente assuefatti all’uso della decretazione d’urgenza da accorgerci a malapena del paradosso di un programma quadriennale approvato in via emergenziale. Il piano ha l’obiettivo di potenziare la collaborazione tra Italia e Stati africani. Una doppia anomalia lo insidia: l’inserimento di attività di natura programmatico-strategica in un testo legislativo; e in un testo caratterizzato per definizione dall’immediata urgenza a provvedere. 

In questi giorni di dibattito sulla riforma per il cosiddetto premierato, la questione più interessante del piano riguarda non il suo contenuto, ma la sua gestione. Il decreto prevede che l’attuazione, il monitoraggio e la comunicazione delle attività spettino a una Cabina di regia presieduta dal Presidente del Consiglio, la quale si avvale di una apposita struttura di missione. L’accoppiata Cabina di regia-struttura di missione inizia a essere uno schema consolidato. Solo questo governo ha istituito una struttura di missione per il Pnrr e una per le Zone economiche speciali. 

Se tre indizi fanno una prova, si tratta di una formula indicativa della concentrazione dei poteri di alta amministrazione nelle mani del Presidente del Consiglio. Un tentativo coerente con la mai interrotta ricerca di un rafforzamento del suo ruolo, al di là del fallimento delle riforme costituzionali a ciò destinate. Si pensi, sempre per stare alle funzioni di alta amministrazione, alla recente acquisizione di quelle relative all’esercizio del golden power, o all’attribuzione in via esclusiva al Presidente del Consiglio dell’alta direzione e della responsabilità generale della cybersicurezza. 

Spostandoci sulla politica estera ed europea, il Presidente del Consiglio ha acquisito una chiara centralità dalla necessaria condivisione delle politiche pubbliche in Europa, o dalla quotidianità dei rapporti internazionali, vivacemente interpretata dalle missioni all’estero dell’attuale Presidente Meloni, da ultimo quella in Albania per l’accordo sui migranti. Dal lato politico, la personalizzazione e la mediatizzazione della politica hanno completato un’evoluzione della figura del Presidente che si è consolidata sulla debolezza crescente dei partiti. Non sarà un caso che il termine Primo ministro o Premier sia ormai di uso corrente, pur in assenza (ancora) del premierato e in rottura con la tradizione costituzionale che aveva esplicitamente scartato l’uso di tale espressione. 

Mettere insieme questi tasselli vuol dire cogliere i segnali di un già avvenuto riconoscimento di un ruolo distinto del Presidente del Consiglio. Mentre le regole sull’ordinamento della Presidenza venivano interpretate, talora superate, sulla base della necessità di garantire le funzioni di direzione e coordinamento, i confini del Governo, e quindi anche il ruolo del Presidente, si sono già ridisegnati. La riforma appena approvata dal Consiglio dei ministri vorrebbe blindare tale evoluzione. Un obiettivo condivisibile, sul piano delle intenzioni. Meno comprensibile su quello politico. La Costituzione materiale, che vive nei rapporti reali tra le istituzioni e la politica, ha già assimilato un ruolo sempre più distinto del Presidente. La capacità di garantire la stabilità politica è però un altro tipo di leadership, che forse andrebbe calibrata con gli strumenti suoi propri, piuttosto che con le riforme costituzionali.

da La Stampa, 8 novembre 2023

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