Quella presunzione di dipendenza che ci isola in Europa

Concorrenza e piattaforme digitali: lo stato di dipendenza economica richiede una valutazione caso per caso

10 Novembre 2021

Il Sole 24 Ore

Franco Debenedetti

Presidente, Fondazione IBL

Argomenti / Diritto e Regolamentazione

«Salvo prova contraria, si presume la dipendenza economica nel caso in cui un’impresa utilizzi i servizi di intermediazione forniti da una piattaforma digitale che ha un ruolo determinante per raggiungere utenti finali o fornitori, anche in termini di effetti di rete o di disponibilità dei dati». Così l’art. 29 inserito nella legge sulla concorrenza: che fin dal suo inizio evidenzia gravi criticità.

Lo stato di dipendenza economica, non armonizzata a livello Ue, è presente in numerosi Paesi europei ed è definito in base a due criteri: per l’impresa forte, la possibilità di determinare nei rapporti commerciali con la controparte un «eccessivo squilibrio di diritti e di obblighi»; per l’impresa dipendente, quella di non reperire sul mercato «alternative soddisfacenti». Questo richiede una valutazione oggettiva (la presenza di alternative sul mercato) e soggettiva (la loro validità per l’impresa). Non presunzione quindi, ma valutazione caso per caso.

Il concetto di abuso di «dipendenza economica» era già presente nella legge 18 giugno 1998, n.192. Allora si trattava delle grandi catene di distribuzione, oggi delle piattaforme digitali. Per queste, effetti rete e disponibilità dei dati sono consustanziali alla loro natura di piattaforme multiversante. Ma questa non è mai una condizione sufficiente a determinare da sola l’esercizio di un significativo potere di mercato. Che l’Antitrust sanzioni comportamenti sleali verso clienti e fornitori fa parte del suo compito istituzionale: ma presumere che il salto di efficienza e di benessere dei consumatori prodotto, ieri dalla Gdo, oggi dalle piattaforme digitali, configuri una dipendenza economica, mette l’Antitrust in una posizione più vicina ai seguaci di Ned Ludd che a un’Autorità essenziale al regolare funzionamento del mercato.

«Si presume» era la prima criticità; «salvo prova contraria» è la seconda. A differenza delle altre legislazioni europee, la norma italiana prevede una presunzione dello stato della dipendenza economica, imponendo alle piattaforme l’onere probatorio di dimostrare la sua insussistenza. Questa presunzione si fonda sulla premessa errata secondo la quale ogni piattaforma digitale, indipendentemente dal diverso modello di business, si configuri come soggetto forte rispetto ai propri utenti business.

Forte e perverso: a questo serve la presunzione, a esprimere un assioma. Un approccio apodittico che lascia poco spazio non solo alle ragioni di Big tech, non solo a quelle dei consumatori, ma persino a quelle dei piccoli operatori ben felici di accettare clausole astrattamente capestro, concretamente vantaggiose.

Nel successivo comma 2 si descrivono le azioni che configurerebbero l’abuso, su cui l’Antitrust può intervenire sia su segnalazione di terzi sia motu proprio. E qui sta la terza criticità: la definizione molto ampia della nozione di piattaforma digitale, l’ampiezza semantica di certe parole – ingiustificato, arbitrario, indebito -, l’assenza di parametri oggettivi, rendono possibili esiti che danneggerebbero imprese, piattaforme e la stessa immagine dell’Antitrust come autorità indipendente.

Criticità anche nei rapporti con l’Europa: mentre questa sta discutendo il pacchetto di riforme sul digital single market, l’Italia da sola decide di introdurre una presunzione di dipendenza economica per le relazioni commerciali con le piattaforme digitali. L’Italia che fa di innovazione e digitalizzazione due capisaldi del proprio governo rischia di varare una norma che non tiene conto del fatto che le piattaforme digitali sono di moltissimi tipi e basate su una molteplicità di modelli di business: motori di ricerca, gli e-commerce, social network, i servizi di ridesharing, le app per chiamare i taxi e quelle per comprare il vino. Appare dunque evidente il rischio di introdurre una fattispecie talmente ampia da consentire di vietare presuntivamente una serie di condotte in ragione del solo status delle imprese interessate, indipendentemente dal loro potere (persino relativo) di mercato e dagli effetti potenziali delle loro condotte sul mercato.

La fattispecie della nuova dipendenza economica in ambito digitale finirebbe per assorbire anche le condotte disciplinate dal digital markets act. Col rischio di cancellare la linea di demarcazione tra regolazione economica e disciplina della concorrenza e che quest’ultima si trasformi progressivamente nella tutela dei concorrenti. Visti i rischi, non resta che sperare in un sussulto di buon senso del Parlamento che prenda atto del fatto che il digital single market non ha bisogno di eccezioni nazionali. L’Ue ci bacchetta per quello che non c’è nel Ddl concorrenza. Non sembra il caso di aggiungere un provvedimento, che oltre a presentare gravi criticità, è un’eccezione nazionale in una materia che l’Europa sta normando.

da Il Sole 24 Ore, 10 novembre 2021

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