“Price cap gas": una battaglia senza vincitori ma un solo sconfitto, l'Europa

Ancora una volta, la vicenda europea sul tetto al prezzo del gas illustra una UE spaccata

10 Febbraio 2023

Muoversi

Carlo Stagnaro

Direttore Ricerche e Studi

Argomenti / Ambiente e Energia Politiche pubbliche

Il nuovo anno inizia con un banco di prova importante per l’Europa dell’energia. Dal 15 febbraio entrerà in vigore il famigerato tetto al prezzo del gas e ci sarà quindi modo di capire se effettivamente il meccanismo produrrà gli effetti promessi o se, più probabilmente, sarà stato solo un contentino dato agli Stati Membri che ne invocavano l’adozione.

Il tetto al prezzo del gas è stato oggetto di una travagliata negoziazione tra Stati che ha visto contrapposti quanti come l’Italia e la Spagna ne volevano l’attuazione per limitare la speculazione e altri come Germania, Olanda e Austria che si opponevano nel timore che la misura potesse causare rischi per la sicurezza energetica.

La Commissione europea, incaricata dal Consiglio di elaborare una proposta in merito, è stata da subito scettica e, nelle diverse versioni della proposta elaborate, ha sempre messo in evidenza i potenziali pericoli della misura.

L’accordo politico sull’intervento è giunto al Consiglio UE dei Ministri dell’Energia del 19 dicembre. Che cosa prevede la misura approvata? Il meccanismo correttivo ai prezzi del gas, questo il suo nome formale, partirà dal 15 febbraio e sarà attivato al verificarsi simultaneo di due condizioni: 1. quotazione dei prodotti month ahead al TTF superiore a 180 euro/MWh per 3 giorni lavorativi consecutivi; 2. differenza tra quotazione dei prodotti month ahead al TTF e prezzo spot dell’LNG sui mercati globali (calcolato come media di diversi benchmark di prezzo internazionali) superiore a 35 euro/MWh per 3 giorni lavorativi consecutivi In tal caso, il “cap” sarà applicato ai contratti relativi a prodotti derivati con scadenza a due mesi, tre mesi e un anno.

Una volta attivato, al verificarsi delle due condizioni di cui sopra, il meccanismo correttivo rimarrà efficace per almeno venti giorni lavorativi. Tuttavia, esso non opera come un vero e proprio tetto ai prezzi. Diversamente, le quotazioni sulle varie piattaforme potranno assumere valori superiori a 180 euro/MWh purché si continui a mantenere un differenziale con le quotazioni globali di LNG non superiore a 35 euro/MWh. Detto in altri termini, se l’aumento dei prezzi dipende dagli andamenti dei mercati internazionali, non succederà nulla (come è inevitabile che sia).

Inoltre, potrà essere sospeso in modo automatico al verificarsi di molteplici condizioni, tra cui le più importanti: quotazioni dell’LNG al lordo del premio di 35 euro/MWh inferiori al valore di 180 euro/MWh; la dichiarazione dello stato di emergenza a livello europeo; qualora, per effetto del meccanismo correttivo, dovessero aumentare i consumi di gas; il verificarsi di una riduzione degli scambi di gas tra Stati Membri o delle importazioni di LNG; pericoli per la sicurezza energetica.

L’aspetto “dinamico” del meccanismo e le numerose cause di sospensione fanno comprendere come il compromesso sia andato maggiormente incontro ai Paesi che non volevano il tetto per il timore dei possibili (e plausibili) rischi che avrebbe prodotto sulla sicurezza energetica. Lascia perplessi che si sia diffusa una narrazione fuorviante che attribuirebbe al meccanismo gli effetti degli attuali abbassamenti dei prezzi al TTF che invece sono dovuti esclusivamente a condizioni altre, quali: la riduzione dei consumi delle famiglie per effetto di un autunno e un inverno più miti e quella dei consumi industriali conseguente, soprattutto, agli elevati prezzi del gas dei mesi scorsi. Fenomeni che hanno inoltre limitato l’utilizzo degli stoccaggi.

D’altronde, sarebbe davvero sorprendente se un meccanismo che entrerà in vigore a febbraio e che ha come trigger la soglia di 180 euro/ MWh avesse spinto al di sotto dei 90 euro le quotazioni del gas a dicembre. La difficoltà a trovare un compromesso ha però rischiato di fare saltare anche l’approvazione degli altri interventi contenuti nella proposta di Regolamento UE nella quale è incluso anche il meccanismo correttivo al TTF. Alla vigilia del Consiglio dei Ministri UE dell’Energia precedente a quello del 19 dicembre, il blocco dei Paesi favorevoli al cap aveva infatti minacciato che, nel caso di mancate revisioni al medesimo rispetto alla proposta originaria (che prevedeva l’attivazione del meccanismo nel caso le quotazioni TTF dei prodotti month ahead fossero state superiori a 250 euro/MWh), sarebbe mancato il voto favorevole su tutti gli altri interventi proposti.

Tra questi: la realizzazione di una piattaforma sugli acquisti comuni di gas a livello UE la quale è tuttavia obbligatoria solo per il 15% dei volumi necessari a riempire gli stoccaggi degli Stati Membri e non prevede l’obbligatorietà per i medesimi di coordinarsi sulle condizioni economiche di acquisto; la definizione di un nuovo benchmark di prezzo dell’LNG; meccanismi correttivi alla volatilità dei prezzi delle piattaforme nazionali per la negoziazione di gas naturale.

Ancora una volta, la vicenda europea sul tetto al prezzo del gas illustra una UE spaccata. Unita nel definire obiettivi tanto sfidanti, quanto lontani, di decarbonizzazione ma divisa nell’adottare una posizione comune su questioni immediate e più problematiche. Tra chi voleva il cap al prezzo del gas e chi non lo voleva, chi ha perso davvero è l’Unione europea. A quasi dieci anni dal lancio della Comunicazione della Commissione “Unione dell’Energia”, che avrebbe dovuto perseguire la sicurezza energetica dell’Europa, la lotta al cambiamento climatico e la disponibilità di energia a prezzi accessibili per famiglie e imprese, sembra proprio che l’obiettivo sia stato mancato.

da Muoversi – Trimestrale di Unione energie per la mobilità, marzo 2023

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