Privatizzare è la vera cura

I problemi della RAI non possono essere risolti solo rinnovando il Consiglio d'Amministrazione

7 Agosto 2015

Il Sole 24 Ore

Franco Debenedetti

Presidente, Fondazione IBL

Argomenti / Teoria e scienze sociali

Fatte le nomine, è iniziata la nuova serie di uno sperimentato genere letterario, I commenti sulle nomine: qualche new entry, SamuRai copyright Sechi, qualche repèchage, Raibaltoni, già attestato vent’anni fa.

Qualsiasi progetto, con la definizione di politiche aziendali appropriate, dovrà svolgersi necessariamente entro alcune coordinate: la nuova legge, che ieri è stata assegnata alla Camera, le risorse a disposizione e il loro sviluppo tendenziale, il perimetro aziendale e quello dell’offerta, la concessione da rinnovarsi entro il 6 maggio 2016 e il nuovo contratto di servizio quinquennale.

All’interno di tali coordinate, ecco cinque punti di riflessione, assolutamente non esaustivi, che riguardano l’assetto della televisione pubblica.

1) La Rai ha quattro centri di produzione (Roma, Milano, Torino, Napoli). In passato si è cercato di “aprirli” ai privati, parametrandone i costi a quelli degli studi di produzione esterni, messi in competizione con i Centri da parte delle strutture della Rai.

L’imperativo per le televisioni pubbliche e private è la produzione, a partire da contenuti adatti a tutte le piattaforme, in primis i palinsesti verticali generalisti, destinati nel tempo a perdere ancora quote di ascolto in dieci anni le generaliste hanno perso il 18% di share a vantaggio delle tv specializzate ma ancora centrali per il pubblico, anche grazie ai social media.

Contenuti da valutare, oltretutto, non solo nel loro primo passaggio in diretta, in quelli successivi nelle varie piattaforme, Internet in testa.

Bisogna quindi saper produrre in modo elastico, versatile, riuscendo ad operare sui costi senza ridurre la qualità del contenuto. Questa la missione, da affidare congiuntamente alle strutture editoriali e ai centri di produzione. Dietro le quinte, la scelta se riportare o meno all’interno alcune produzioni. E i rapporti con produttori esterni e Cinecittà.

2) Le ventuno sedi regionali costituiscono un “peso” abnorme per i costi aziendali. Da tempo in Rai si studia un loro accorpamento, ma non appena qualche direttore generale o presidente vi accenna, si alzano subito le barricate da parte dei presidenti delle regioni “accorpate” a quelle confinanti. È un problema che non può essere rinviato all’infinito.

3) Dentro o fuori. Le società controllate dalla Rai sono state ristrutturate: RaiNet è diventata RaiCom, alla quale è stato conferito il ramo d’azienda “commerciale” della capogruppo, mentre Internet è passata alla capogruppo. Una scelta che lascia perplessi: con la rapida evoluzione del Web una società separata, agile, sarebbe stata in maggiore sintonia, con maggiori capacità di operare tempestivamente. RaiWorld è stata incorporata in Rai spa mentre Rai spa, dopo la quotazione, controlla il 65,07% di RaiWay. Le scelte sulle consociate andranno prese a seconda del piano industriale triennale e delle sue direttrici per la crescita e lo sviluppo dell’impresa.

4) Rai per l’audiovisivo. È un punto cardine per conquistare quote di pubblico e risorse nel mercato digitale con fiction, cinema, documentari e generi “misti”, come la docufiction.

È una delle legittimazioni prioritarie del canone, quella di contribuire alla crescita dell’industria audiovisiva nazionale, Ed è, allo stesso tempo, insieme all’informazione, la narrazione del Paese. Quella che le linee-guida consegnate dal Governo al nuovo Cda vogliono diventi sempre più “internazionale”, per contribuire alla promozione della cultura italiana e del made in Italy. Serve un patto con i produttori che detti linee-guida condivise e trasparenti. Il produttore indipendente deve diventare un interlocutore “alla pari” del servizio pubblico, con il quale si condividono progetti e diritti. Qui, ancor più della Bbc, si dovrebbe seguire il modello britannico.

5) Teche e digitalizzazioni. Gli archivi della Rai sono la memoria d’Italia. Vi sono conservate oltre un milione e 300mila ore di materiale televisivo, un milione e 500mila ore di materiale radiofonico, 45mila fotografie di programmi Rai, 95mila copioni e 75mila libri tematici su media, spettacolo e pubblicità. Oltre ad un patrimonio musicale composto da oltre 25mila esecuzioni interamente digitalizzate e oltre 99mila tra spartiti e partiture dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai.

RaiTeche sta per avviare la digitalizzazione del restante archivio storico, oltre un milione di cassette e 800mila pellicole, per assicurare la conservazione per sempre dei programmi storici. Al di là della collaborazione con Musei, Università, Biblioteche, Istituti di Cultura, le Teche devono essere chiamate ad “aprirsi “, in particolare al consumo dei singoli utenti sulle diverse piattaforme.

Da Il Sole-24 Ore, 7 agosto 2015

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