Processo al centauro

Cassa Depositi e Prestiti: salvagente o anomalia da sanare? Rispondono Giulio Sapelli, Luigi Guiso, Franco Debenedetti, Massimo Mucchetti e Luca Martinelli

3 Aprile 2015

Milano Finanza

Argomenti / Teoria e scienze sociali

Si prepara a collaborare con l’Europa per gli investimenti italiani del piano Juncker, a salvare l’Ilva di Taranto, a giocare un ruolo di primo piano nella modernizzazione del Paese tramite la banda larga. È pronta a coordinare, tramite i manager delle proprie partecipate, azioni mirate sulle imprese italiane per indurle a «fare sistema», ovvero favorire aggregazioni e partnership, e pensa di entrare insieme con i privati nel fondo di turn around per salvare le aziende in crisi. La Cassa Depositi e Prestiti è sempre di più il crocevia dell’intervento pubblico nell’economia, ma nell’ambito di questo suo ruolo continuano a pesare le ambiguità legate alla sua natura, in cui convivono anima pubblica e privata e una governance che non convince tutti.

Alla trasmissione Partita Doppia, su Class Cnbc, ne hanno discusso lo storico dell’economia Giulio Sapelli, il professore dell’Einaudi Institute for Economics and Finance Luigi Guiso, il presidente dell’istituto Bruno Leoni Franco Debenedetti, assieme al presidente della commissione Industria del Senato Massimo Mucchetti e a Luca Martinelli, autore di un libro, La posta in gioco, dedicato al modo con il quale la Cassa Depositi e Prestiti investe il risparmio postale degli italiani.

L’hanno paragonata a un centauro, ma qual è la vera natura di Cdp?

Sapelli. Io l’ho definita un ircocervo, metafora presa dal lessico della storia politica che si riferiva à Partito Comunista Italiano, che aveva testa sovietica e comportamento socialdemocratico. Questa Cassa è di fatto la nuova Ifi, possiede partecipazioni in imprese importanti, però mi piacerebbe che uscisse dalle ombre cinesi del potere.

Mucchetti. I paragoni storici sono sempre suggestivi, ma bisogna restare con i piedi per terra. Se vogliamo attribuire alla Cassa Depositi e Prestiti degli altri compiti dobbiamo, rendere più robusta la sua struttura, che ora è esile rispetto a quella che aveva l’Iri. E chiedere alla politica che decida una buona volta cosa vuole. Perché è surreale che per Ansaldo Energia, per citare un esempio, si sia detto che si doveva vendere ai cinesi e non ai sudcoreani perché i primi accettavano la Cassa Depositi e Prestiti, e poi per Ansaldo Sts, che industrialmente parlando è meglio di Ansaldo Energia, si proceda con una vendita secca alla Hitachi.

Guiso. Io penso che, mentre era chiarissimo cos’era l’Iri, oggi è molto poco chiaro a cosa serva questa Cassa con le funzioni surrettizie che le si stanno man mano attribuendo. Se si esce dal perimetro del finanziamento agli enti locali, per i quali serve un attore pubblico, il resto è un punto interrogativo. A me francamente qualcuno deve spiegare perché serva la Cassa Depositi e Prestiti per mettere capitale di rischio in imprese buone e ad alto potenziale di crescita.

Ma avete capito come vengono prese queste decisioni?

Sapelli. Questo è il punto: la Cdp ha degli amministratori probi e stimatissimi, per carità, ma non possono decidere da soli. Serve una discussione pubblica e un’argomentazione parlamentare sulle sue scelte, ma questo non succede.

Martinelli. Proprio così. Per capirlo basta un dato: questa legislatura è attiva da due anni e la commissione parlamentare di vigilanza sulla Cassa Depositi e Prestiti si è riunita in tutto due volte. La prima per costituirsi, a novembre del 2014. La seconda un anno e mezzo dopo, per l’insediamento parlamentare. Insomma: quale controllo hanno i cittadini su quello che fa la Cassa Depositi e Prestiti?

Mucchetti, lei è parlamentare e presidente della commissione Industria. Che fa la politica per guidare la Cassa Depositi e Prestiti?

Mucchetti. Direi che è vero che governo e Parlamento devono fare un punto chiaro sulla missione di Cdp, ma attenzione: bisogna farlo sulla base degli interessi del Paese e soprattutto tenendo conto di quello che fanno i nostri partner europei, che sono nostri concorrenti.

Debenedetti. Ma non c’è solo il tema del controllo. L’attuale attività della Cassa Depositi e Prestiti è frutto di un’intollerabile ambiguità: le fondazioni bancarie hanno un 20% del capitale e allora si considera la Cdp un istituto privato quando si calcola il debito pubblico e un istituto pubblico quando si tratta di intervenire sulle aziende. Ma parliamoci chiaro: i finanziamenti hanno un rischio. Se questo rischio lo assume lo Stato, allora si tratta di aiuti di Stato. E se per evitare quest’accusa lo si fa a prezzi di mercato, allora perché non lo lasciamo fare direttamente al mercato dei capitali? Abbiamo privatizzato le banche e nazionalizziamo i fondi di investimento?
È chiaro che siamo in una situazione di vacatio legis nella quale la Cassa decide in proprio.

Mucchetti. Per quanto riguarda il mercato, possiamo chiederci se dovremmo affidare a Cdp operazioni come, per esempio, il salvataggio dell’Ilva, ma la realtà è che qui non stiamo parlando di venture capital. Nessun fondo di venture capital farebbe un’operazione come quella dell’Ilv a, perché quell’azienda non ha problemi di business, ma problemi politici e giudiziari che nemmeno governo e Parlamento potrebbero affrontare con un colpo di spadone. Diverso invece è chiedersi se Cdp debba essere azionista di Eni o Enel.

Martinelli. Il punto resta comunque se tutte queste scelte rientrino in una discussione strategica sul ruolo della Cassa Depositi e Prestiti. Mi chiedo, per esempio, in che modo il Parlamento sia stato informato della scelta di cedere parte di Cdp Reti. E non è il solo nodo da sciogliere. Resta aperto anche quello dei tanti conflitti interni.
Prendiamo la banda larga: come si può immaginare che la Cassa sia da un lato il principale finanziatore del progetto e dall’altro il principale azionista di Metroweb attraverso F2i? E per giunta Bassanini è sia presidente di Cassa Depositi e Prestiti che di Metroweb.

Sapelli. Parliamoci chiaro: siamo di fronte a gravi difetti di governance. Un male antico, perché l’Italia è da sempre refrattaria alla buona governance. Prima avevamo il ministero delle Partecipazioni Statali, che veniva definito un ‘carrozzone’. Ma ora abbiamo le partecipazioni statali senza ministero. Io a questo punto devo dire che mi sentivo più tranquillo col ministero. Bassanini sceglie da solo? In questo modo chi decide quali sono i fantomatici settori strategici sui quali investire? Così finisce che compriamo gli alberghi perché giudichiamo il turismo strategico.

Beh, se non è strategico il turismo in Italia…

Sapelli. No, non è strategico. Diciamo che possiamo scegliere di considerarlo importante per lo sviluppo, ma allora si tratta di una decisione politica. E se invece come fa Bassanini di- ciamo che il criterio deve essere la redditività dell’investimento, allora perché lo fa il pubblico?

Forse perché il privato non ci riesce da solo.

Guiso. Se è il nostro mercato dei capitali a non essere sufficientemente florido, allora dedichiamoci a sviluppare quello. Ricordiamoci che con i fondi pensioni e il terzo pilastro ci sarebbe molto da fare per mettere capitali a disposizione delle imprese. Altrimenti la Cassa Depositi e Prestiti serve per operazioni delle quali non è chiaro l’intento. Diciamo che uno degli scopi non dichiarati è erigere barriere protettive nei casi in cui si temono acquisizioni dall’estero.

Intanto Pirelli è stata nazionalizzata dallo Stato cinese. Pensate che la Cassa Depositi e Prestiti sarebbe stata un’alternativa migliore?

Mucchetti. Era accaduto anche a Edison, scalata dalla società pubblica francese Edf. E oggi Pirelli è controllata da uno Stato estero attraverso una società non quotata, guidata da un manager del Partito Comunista Cinese che gode della protezione dello Stato. Altri Paesi, come la Gran Bretagna, hanno strutture come la City e non ne hanno bisogno. Ma noi siamo bravi a fare altre cose. Pirelli era sul mercato e, se davvero abbondassero tutti questi capitani coraggiosi, avrebbero potuto lanciare un’opa, e potrebbero ancora farlo. Ma se il nostro mercato dei capitali non riesce a intervenire, va bene che lo faccia la Cdp.

Allora è giusto che anche l’Ilva venga salvata da Cdp?

Mucchetti. Per quanto riguarda l’Ilva, io dico di sì. Ricordiamoci che l’Ilva non è solo fumo che esce dalle ciminiere, ma un valore importante in un Paese manifatturiero come il nostro. È tecnologia dell’acciaio che non possiamo perdere. Grandi gruppi, come Arcelor Mittal, l’hanno definita un’azienda ottima, ma non si sono assunti il rischio di rilevarla per le problematiche politiche e giuridiche che sta vivendo. In questo quadro è giusto che ci sia un organismo pubblico in grado di intervenire.

Guiso. Su questo punto sono d’accordo anch’io: è sensato che intervenga il pubblico quando un’azienda funziona, ma esistono rischi esterni che i mercati non sono in grado di assumersi.

Martinelli. Però, nel momento in cui c’è un’azienda in crisi, si vede la Cassa Depositi e Prestiti come un salvatore e questa assume un ruolo preponderante nel sistema nazionale. Molti imprenditori o rappresentanti locali sono lì a tirarle la giacchetta, perché è l’unico soggetto rimasto ad avere liquidità e capacità di investire e prestare denaro. Un soggetto così, lasciato senza adeguate strategie e controlli, può diventare pericoloso.

Debenedetti. Il pericolo deriva proprio da questa ambiguità che si ripercuote sul mercato. Un investitore privato che investe insieme alla Cassa si fida, perché la Cassa rappresenta un’implicita sicurezza aggiuntiva dell’intervento statale. Ma questa è una perturbazione. Si investe dove decide dove Cdp, e non il mercato.

Mucchetti. Io però vorrei precisare che la Cassa, per parlare in modo semplice, non toglie il pane di bocca a nessuno. Questo non toglie che la governance di un organismo di questo tipo debba essere quanto mai «accountable», ovvero verificabile. Però non bisogna essere ingenui: il capitalismo di Stato è una realtà crescente nel mondo d’oggi.

Sapelli. Anch’io sono convinto che la ripresa passi dal ricorso alla mano pubblica. Ma bisogna evitare le distorsioni e la «mala governante» che hanno caratterizzato le precedenti esperienze di Stato imprenditore. Alcuni mali si sconfiggono con la buona amministrazione ed evitando commistioni improprie. L’attuale assetto di Cdp invece non è buona funzione pubblica. Al contrario, rappresenta un pezzo crescente della disgregazione dello Stato.

Da Milano Finanza, 3 aprile 2015

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