18 Dicembre 2018
Il Giornale
Carlo Lottieri
Direttore del dipartimento di Teoria politica
Argomenti / Teoria e scienze sociali
Com’era facile prevedibile, la notizia che la maggior parte dei giovani italiani vive con papà e mamma ha subito portato sulla bocca di tutti la stessa parola: «bamboccioni». E in parte è vero che le nuove generazioni hanno la tendenza a vivere all’ombra della famiglia, incapaci di farsi carico degli oneri dell’esistenza. I dati diffusi ieri da Eurostat devono fare riflettere. Dopo un leggero calo del 2016, torna a crescere il numero di quanti, avendo un’età compresa tra i 18 e i 34 anni, preferiscono restare a casa. Si tratta infatti del 66,4% dei ragazzi: il dato europeo più alto dopo Croazia, Malta e Grecia.
È un fenomeno che conosciamo da tempo, legato alla struttura della società italiana, in cui le mamme hanno da sempre un ruolo preponderante. Non si prende il volo perché in fondo è molto comodo non dover preoccuparsi di tante cose: dalla pulizia delle camere alla gestione delle fatture domestiche, alla cura del guardaroba. Anche dopo i trent’anni, il giovane italiano (specie se maschio) resta un eterno Peter Pan che non vuole mettere famiglia, fare figli, costruirsi un futuro.
Alla radice di questo, però, ci sono anche talune ragioni economiche. I giovani di oggi si trovano entro un quadro ben diverso da quello dei «trenta gloriosi»: la fase storica che condusse dalla fine della Seconda guerra mondiale alla metà degli anni Settanta. In quel periodo tutta l’Europa conosceva un’espansione formidabile e ogni generazione appariva destinata a vivere meglio di quella precedente. Ora non è più così: dopo che lo statalismo dei «baby boom» ha consumato tutto il consumabile e ha accumulato debiti di ogni tipo (moltiplicando i titoli di Stato e costruendo un sistema pensionistico pubblico fallimentare), chi ha meno di quarant’anni difficilmente si troverà in una situazione migliore di quella dei genitori.
In tale contesto, è assurdo difendere l’idea di un reddito di cittadinanza alla Di Maio, che penalizzi chi lavora per aiutare chi non lavora. Se ci si preoccupa e – giustamente – dinanzi a giovani che restano sempre bambini, tutto si deve fare meno che costruire un meccanismo redistributivo che dia un reddito, anche se modesto, a quanti restano a casa tutto il giorno.
In altre parole, le nuove generazioni fanno i conti con un’economia ingessata, in cui per le imprese è spesso irragionevole assumere. Perché non sempre si resta in famiglia per pigrizia: talora questo avviene perché mancano i soldi per affittare un appartamento e perché – da tempo -l’insieme dei capitali complessivi è concentrato nelle mani di quanti hanno più di cinquant’anni, mentre agli altri rimane davvero poco.
Per tale ragione non è tutta colpa dei giovani se essi non escono di casa e se, in molti casi, non cercano neppure un impiego. Sono infatti gli adulti che hanno costruito un sistema economico e sociale chiuso, protetto, assistenziale, in cui è difficile intraprendere e in cui – in molte aree del Paese – è addirittura irragionevole attendersi cambiamenti di alcun tipo.
Per finirla con i bamboccioni, allora, bisognerebbe introdurre più libertà d’iniziativa nell’economia italiana e, più in generale, nella nostra società. Bisognerebbe responsabilizzare le comunità locali, abbassare le imposte, liberalizzare interi settori. Un giovane ha il diritto di lavorare e intraprendere senza dover chiedere innumerevoli autorizzazioni a chi vive di risorse che non produce. E se le cose non stanno così, non stupiamoci se poi rimane in famiglia a vivere della pensione del nonno.
Da Il Giornale, Martedì 18 Dicembre 2018.