Questo libro è stato covato molto a lungo. L’autore aveva cominciato a scriverlo nell’immediatezza dei fatti, per rendere conto di una esperienza politica e governativa. Poi le cose presero una piega differente. Dopo trent’anni ha rimesso mano agli appunti e ha deciso di completare l’opera, ma per una ragione del tutto diversa: reagire a una lettura falsata, fuorviante, non solo di quell’esperienza ma di tutta intera una stagione della nostra vita nazionale.
Perché in quel terribile anno – questa la condivisibile tesi che sostiene – il governo di Giuliano Amato non fu solo il rantolo della così detta “prima Repubblica”, il disfarsi dei partiti, il capitolare di un mondo; fu anche la reazione a colpi durissimi che erano stati inferti allo Stato, alla nostra sicurezza e alla stabilità economica. Difatti il sottotitolo recita: “Quando l’Italia scoprì le riforme”.
In quel passaggio il merito di Amato fu quello di avere conservato un’idea solida e “antica” dello Stato, di essersi accollato la responsabilità di cambiamenti e misure che le forze politiche non avevano (e non hanno) il coraggio e la lucidità di gestire. Il demerito, oggettivo, fu quello di agire senza disporre di una reale forza politica. Fu quello il momento in cui il necessario si separò dal mandato elettorale. Non ebbe possibilità di scegliere, circa questo secondo elemento che, però, lascerà uno strascico velenoso.
Come poi capitato anche a figure come Romano Prodi o Mario Monti, si concede di fare il necessario e si rimprovera l’artefice per l’averlo fatto. Le privatizzazioni presero un corpo reale. Lo Stato resse l’urto della mafia stragista senza negare sé stesso. L’attacco al cambio della lira (coincidente con quello alla sterlina) non era altro che l’uso speculativo di uno squilibrio preesistente, cui si reagì in modo da rendere temporanea l’uscita dal Sistema monetario europeo e non compromettere la futura strada verso la moneta comune. Ciò comportò misure drastiche, come il prelievo notturno del 6 per mille dai conti correnti.
Ad attaccare Amato per quello, a non perdonarlo mai, fu chi poi avrebbe preteso il merito del perdurante legame europeo. Ma come pensano si sia potuto mantenere? Tutto questo e altro a cura del “Parlamento degli inquisiti”. Trent’anni dopo, del resto, è possibile leggere in modo assai diverso l’allora euforia manipulitista. Sicché da chiarire, semmai, resta l’oscuro colpo contro il decreto Conso. Ricostruendo una pagina, questo libro pone il problema delle molte successive.
L’altro 1992. Quando l’Italia scoprì le riforme, di Giuliano Cazzola, prefazione di Antonio Polito (IBL Libri, 2022)
da La Ragione, 6 dicembre 2022