E’ falso dire che esiste un diritto a nascere e un diritto a essere genitori La surrogazione di maternità esaspera la scissione del legame biologico tipico dell’idea consolidata di filiazione, sia perché crea la possibilità di un momento ulteriore di separazione del concepito dalla famiglia di destinazione, che può ormai non avere in ipotesi alcun legame genetico e biologico con essa, sia perché l’esperienza della gestazione è un viaggio qualitativamente diverso dalla donazione del liquido seminale o degli ovuli, le cui ricadute psicologiche sarebbe superficiale mettere da parte.
Si dirà che anche nell’adozione non vi è alcun legame di sangue. Tuttavia, l’adozione non è un istituto che primariamente soddisfa il desiderio di genitorialità, ma che guarda a un minore in stato di abbandono. Nell’adozione, è già al mondo un fanciullo in difficoltà, una prospettiva completamente diversa da quella di un adulto che desidera far nascere un bambino.
Non so quali diritti, in questo frangente, esistano: esiste sicuramente un desiderio serio e legittimo di essere genitori, così come esiste il superiore interesse a crescere in una famiglia capace di cura e affetto. Ma che esista un diritto a essere genitori e un diritto a nascere, mi sembrano false partenze. Basti pensare che nel lessico giuridico si parla con molta più insistenza di responsabilità genitoriale e non di diritto alla genitorialità, e che la giurisprudenza ha già stabilito il risarcimento per essere nato, col che si intende che quello a nascere può non essere riconosciuto un evento positivo per il nato. Nascere è un fatto, uno gioco genetico, uno scherzo del destino che solo a fine corsa si potrà dire se sia stato benevolo o malevolo. Intorno, ci sono solo aspettative e desideri e preghiere che tutto fili liscio, dal concepimento in poi.
Diritti o meno a parte, resta ancora inevasa una domanda cruciale: date le possibilità mediche e legali, cosa distingue ormai il rapporto di filiazione da qualsiasi altro rapporto affettivo tra un adulto e un fanciullo?
L’unico elemento determinante è forse l’impegno, materiale e spirituale, a prendersi cura non più solo del già nato, come nel caso dell’adozione, ma anche del figlio programmato. Chi se ne assume l’impegno, a partire dal costo della programmazione della nascita, è evidente che non è più necessariamente la tradizionale coppia coniugata. Su questo, l’evoluzione culturale e la “concorrenza” fra ordinamenti rendono obsoleto ogni tentativo di delimitazione delle possibilità mediche alla famiglia tradizionale. Cambi culturali epocali succedono. Non esistono concetti imperituri, e la stessa verità, in una società libera quale, pur con tutti i difetti, è la nostra, esiste solo per chi la vuole accettare. Bisogna però essere consapevoli che quello che sta avvenendo nella scienza e nella famiglia è qualcosa di completamente nuovo che comprensibilmente spiazza, turba, pone interrogativi e non ha ancora approdi certi. Non diffiderei di nessuna delle opinioni che si stanno esprimendo, eccetto di quelle che con sicumera sostengono che ognuno ha diritto di fare quel che vuole, che nulla cambia perché alla fine è sempre l’amore che vince e che tutto pari è.
Da Il Foglio, 2 marzo 2016